giovedì 1 dicembre 2011

INCREDIBILE: dopo anni un intervento sensato attinente i problemi dell'Università pubblicato dal quotidiano locale "Messaggero Veneto"

 

"Messaggero Veneto"
GIOVEDÌ, 01 DICEMBRE 2011
 Pagina 39 - Cronache

Atenei, il “problema” di avere tanti studenti
 
di RINALDO RUI - preside della facoltà di Scienze matematiche, fisiche e naturali dell’università di Trieste

Le soluzioni a questa spirale perversa sono tecniche, le scelte sono politiche, e passano attraverso un intervento serio e ragionato a livello nazionale e regionale. Scrivo prendendo spunto da alcuni avvenimenti accaduti recentemente nelle nostre due università della regione Fvg. Mi riferisco in particolare alle notizie relative all’aumento degli immatricolati, notizie riportate con grandissima enfasi, una sorta di gara tra i campanili (tanto per cambiare), e così di campanile in campanile le notizie si propagano per dare sorrisi e gioia agli abitanti di questa regione. Più tardi però, nelle riunioni in ateneo accade il contrario. Si piange perché a Udine i troppi studenti hanno finito per portare l’ateneo sopra la soglia del 20% di spesa per tasse studentesche, mentre a Trieste invece hanno contribuito a non rispettare alcuni “requisiti minimi” di docenza. In entrambi i casi la penalizzazione nasce da una serie di decreti ministeriali che impediscono, ai nostri atenei in particolare, di aumentare il numero di studenti. Perché? Provo a rispondere con un esempio. Esiste un limite di legge nel rapporto tra studenti e docenti e i decreti ministeriali impongono in genere che i corsi di laurea abbiano 100 studenti. Ma se gli studenti sono meno di 50 il corso deve chiudere, e se sono più di 150 servono il doppio dei docenti, che l’ateneo non ha. Per evitare di essere penalizzati l’ateneo dovrebbe poter “anticipare” le scelte dei giovani studenti, cosa impossibile, se non negli incubi di Orwell. C’è però una soluzione semplice: imporre il numero chiuso, definito con eufemismo dai nostri governanti «accesso programmato» per i corsi più appetibili (che non vuol dire fatti bene), e chiudere i corsi con pochi studenti (che non vuol dire fatti male), in entrambi i casi riducendo il numero di studenti. Gli atenei lo stanno già facendo; qualche anno fa c’era solo il corso di laurea in medicina “chiuso”, ora ce ne sono almeno una dozzina per ateneo, e addirittura alcuni atenei stanno progettando di farlo per tutti i corsi di studio. In questo modo viene meno il concetto di «Università pubblica», o «popolare», quella in cui gli studenti si iscrivevano ai corsi di laurea che liberamente sceglievano secondo le loro inclinazioni, mentre gli atenei cercavano di adeguare l’offerta didattica alla domanda, pur mantenendo quelle prerogative di qualità che ogni ateneo deve conservare, se non migliorare. Per capirci, se questi decreti fossero esistiti in passato l’Università di Udine non sarebbe mai nata(!), e Trieste non sarebbe la Città della Scienza (non esisterebbero infatti la Sissa, e tutti gli altri enti di ricerca, nati da docenti triestini «in soprannumero»). E così non ostante la qualità dimostrata a livello nazionale, le nostre due Università regionali, impossibilitate ad assumere nuovi docenti (solo a Trieste ci sono trenta vincitori di concorsi che non possono essere assunti), dovranno avere meno studenti, e quindi meno docenti, e quindi... Con buona pace delle "splendide" notizie di cui sopra. C’è un modo per fermare questa spirale? Le soluzioni sono tecniche, le scelte sono politiche, e passano attraverso un intervento serio e ragionato a livello nazionale e regionale. Ma per farlo ci vorrebbe un’idea di società, ovvero di una cosa che al momento pare “smarrita”.

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