giovedì 31 ottobre 2013

BASTA CHIACCHIERE, E' NECESSARIO ARCHIVIARE LA LEGGE 240/2010 CON SCELTE DI SVILUPPO A MEDIO E LUNGO TERMINE


L’intervista di Alberto Beltrami sulle difficoltà del corso di laurea in Medicina di Udine, nei giorni scorsi in risalto sulla stampa locale, muove da un disagio effettivo, ma è, a nostro avviso, anche viziata da una certa parzialità. 

Se è vero che le notazioni sulla precarietà del sostegno finanziario e logistico alle strutture di ricerca, sulla vera e propria decimazione del personale docente in atto da anni nel silenzio più unanime di tutto l’apparato, sull’assenza di prospettive per i giovani ricercatori, sono denunce assolutamente doverose e legittime, che possono solo essere sottoscritte, ed è un bene che vengano portate all’attenzione dell’opinione pubblica, è altrettanto vero che porre l’accento sulla mancanza di un docente di malattie infettive, o su un pediatra di contrabbando perché preso in prestito, o su un urologo che non arriva, nonostante la dipartita verso lidi parlamentari nientemeno che di Gigli (che peraltro è un neurologo), denota una visione tutta centrata sul polo medico, che oscura la drammaticità altrettanto rilevante della situazione universitaria generale, non solo udinese. 

Le preoccupazioni espresse dal prof. Beltrami vanno estese a tutto il mondo della formazione e della ricerca universitaria italiana. 

Bisogna richiamare l’attenzione di tutti sulla gravità dell’operazione in atto, sancita con la riforma Gelmini, che istituzionalizza la riduzione di oltre il 20% del budget per l’Università italiana, la precarizzazione dei ricercatori, la verticizzazione del governo accademico e l’affidamento del potere decisionale ai soli CdA.
 

Bisogna denunciare la mistificazione che da anni si compie sulla stampa italiana ai danni dell’Università pubblica, presentata come un’associazione di baroni dediti alla vessazione dei loro sottoposti, con un numero esorbitante di sedi, corsi di laurea e iscritti, una scarsa qualità di insegnamento, un alto costo di gestione. Fermo restando che non si difende nessuno d’ufficio e che per gli episodi di malcostume la competenza è solo della magistratura, gli addebiti della pubblicistica rampante degli economisti neoliberali sono stati ripetutamente confutati, dimostrando che spesso si tratta di falsità confezionate ad arte (cfr. www.roars.it). 

Bisogna protestare puntualmente contro chi denigra pubblicamente la qualità della ricerca universitaria italiana e la qualità della preparazione impartita dall’Università italiana nel suo complesso, perché sia la ricerca che la preparazione media nei fatti non sono per nulla inferiori agli standard internazionali. 

Bisogna contestare l’idea che le università pubbliche debbano essere chiuse o accorpate. Al contrario, per assicurare il diritto allo studio, le università esistenti vanno potenziate per risolvere le criticità, come imposto dalla necessità di aumentare il numero di laureati e dalle dimensioni del Paese, che per crescere deve innalzare il suo livello di conoscenza. 

Queste idee sono state messe al centro in una serie di incontri e dibattiti svoltisi ripetutamene nelle aule universitarie di Udine. Dei quali, tuttavia, non c’è stata alcuna traccia nei resoconti della stampa locale. Il vero problema, però, non è nella mancanza di pubblicizzazione di quelle iniziative. Il problema ancora oggi è che, andando avanti così, il nostro Paese si avvia a rinunciare completamente alla sua cultura scientifica perché lentamente l’Università viene minata, svilita e svuotata da una politica ignorante e senza scrupoli.
 

Forse proporre all’opinione pubblica una riflessione in questi termini può essere necessario, non si tratta di allarmismo. Il dramma, perciò, non è solo per il pediatra, l’infettivologo o l’urologo che non ci sono, ma anche per il geografo in via di estinzione, il chimico fisico non sostituito, il musicologo mai visto, il cromatografo rotto e non riparato, lo spettrometro vecchio di venticinque anni non ammodernato, ecc. 

Con l’elenco dei problemi, però, la soluzione che se ne prospetta non può prescindere da una critica complessiva alle scelte di sviluppo socio-economico che hanno condotto alla situazione presente, perché il problema dell’Università è solo un aspetto della realtà che si è prodotta negli ultimi anni. Scelte di sviluppo socio-economico che appaiono ancora una volta confermate da una classe di politici semplicemente sconcertante. Ancora oggi, tutti d’accordo nel governo delle larghe intese, non si trova altra soluzione che riproporre ricette economiche che privilegiano la tutela della finanza bancaria, la protezione di una massa di imprenditori responsabili dello smantellamento industriale, la difesa ad oltranza dei grandi patrimoni e l’accanimento dell’imposizione indiretta, la contrazione progressiva dei servizi pubblici.
 

In questo panorama si dibattono anche le istituzioni accademiche, ma è chiaro che la soluzione dei problemi non può cominciare reclamando misure per l’Università. C’è bisogno di un progetto per la società che prefiguri scelte di sviluppo futuro da costruire con una politica economica di respiro almeno ventennale. 

Coordinamento per l’Università Pubblica




venerdì 25 ottobre 2013

Il ministro Carrozza "vola alto" e si illude che bastino le parole


Vorrei che la politica economica del futuro si basasse sulla politica per l'istruzione: istruzione, cultura e tutela dell'ambiente, nell'ambito di una politica sostenibile, devono essere i pilastri per il risveglio e il rilancio del nostro paese. Nel corso del mio viaggio per l'Italia non ho visto solo scuole e università ma anche la Certosa di Calci, la Reggia di Caserta e tanti altri monumenti e musei. L'esempio della Certosa di Calci, che contiene all'interno un museo della scienza aperto a tutti gli studenti di ordine e grado e un museo nazionale gestito dai beni culturali, ci indica che dobbiamo lavorare per affiancare istruzione e cultura in un'unica azione di rilancio del nostro patrimonio culturale, artistico e intellettuale. Per questo ho accolto come uno stimolo e un incentivo a continuare il discorso di ieri del Governatore Visco, che ringrazio per aver coraggiosamente parlato di scuola e istruzione in un momento difficile come questo, senza distruggere ma costruendo una base per la discussione.
 

Serve una vera alleanza tra gli Enti locali e il ministero dell'Istruzione per rimettere al centro del dibattito il tema della scuola. I sindaci, i comuni, i dirigenti scolastici - come ho detto oggi a Firenze all'Assemblea dell'Anci - devono essere le nostre antenne sul territorio, per dare ai ragazzi non solo e non tanto un certificato, ma vere competenze per riuscire a trovare una strada e un futuro in una società sempre più difficile e competitiva.
Oggi l'istruzione rischia di diventare per alcuni un bene di lusso e non possiamo permettercelo. Il Paese non può permettersi di avere ancora aree in cui il tasso di dispersione scolastica è drammatico, non possiamo e non dobbiamo lasciare indietro interi territori. Penso che come Ministro il mio ruolo sia di sostenere chi è in grado di andare avanti più velocemente ma fare di tutto perché chi fa più fatica non venga abbandonato. La scuola e l'istruzione devono tornare ad essere il vero ascensore sociale di questo Paese.


Video del discorso del Ministro Carrozza


martedì 8 ottobre 2013

Era ora, ecco i primi segnali di una inversione di tentenza


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Le attività dei vari governi degli ultimi anni sono state un susseguirsi di interventi finalizzati il più delle volte a rispondere a qualche emergenza. Sociale. Finanziaria. Industriale. Giuridica. Abbiamo visto tanti mezzi senza capire quali fossero i fini ultimi. I risultati, infatti, non sembrano così entusiasmanti. Tanto che la posizione del nostro Paese non è affatto migliorata. In termini di crescita, tra i grandi Paesi europei siamo fanalino di coda. Segno che quando i mezzi lavorano in presenza di fini discordanti o, addirittura, in assenza di fini sono questi ultimi a essere giustificati dai mezzi e non il contrario come vorrebbe il comune sentire dal Principe in poi.
Prendiamo l'università. Nel 2010 è stata approvata una legge di riforma che nei tre anni successivi tutti gli atenei hanno adottato in applicazione di oltre 40 decreti attuativi. I fini della riforma erano da principio chiari: adoperarsi per l'autonomia responsabile, liberare dai vincoli gli atenei particolarmente virtuosi, favorire i processi di apertura internazionale e, non da ultimo, dare più risorse a chi meglio ne fa uso.
Peccato che l'uso dei tanti mezzi in applicazione della riforma (decreti, correzioni legislative, circolari ministeriali, disposizioni in materia di finanziamento) abbiano finito per offuscare i fini per i quali la riforma era stata proposta. Gli atenei sono oggi meno autonomi, meno differenziati, meno liberi in materia di reclutamento e meno finanziati. I fini sembrano scomparsi e riaffiorano quando le classifiche internazionali collocano l'Italia lontano dai posti di testa: questo diventerebbe il fine ultimo, la scalata delle classifiche.

Pensiamo al discorso di Cagliari del Santo Padre. Papa Francesco dice che le università sono luogo di discernimento, di cultura della prossimità e di formazione alla solidarietà. Un luogo fisico quindi in cui i giovani apprendono la lettura critica del mondo e sono educati alla relazione con gli altri secondo principi solidaristici. Questa visione ci riporta ai fini, siano essi o meno condivisi, e non più solo ai mezzi. L'università come luogo di formazione delle coscienze prima ancora che di trasmissione sic et sempliciter del sapere.
La lezione del Papa è un'ottima occasione per riprendere il filo che porta al fine e non si occupa solo del mezzo. Servono le università in un Paese? È giusto che vi accedano tutti coloro che lo desiderano? È opportuno che si confrontino in termini quantitativi e qualitativi con quelle di altri Paesi? È opportuno che competano come squadre indipendenti o è opportuno che creino anche un tessuto connettivo comune pur nelle diversità? Sono interrogativi suscitati dalle riflessioni del vescovo di Roma che riportano al giusto indirizzo anche i mezzi che poi vengono utilizzati. Chi deve ascoltare queste parole? In primo luogo il legislatore che in questi anni mentre decantava l'autonomia, la riduceva sempre più, per virtuosi e non. Mentre sosteneva la necessità di dare più risorse ai meritevoli, tagliava i finanziamenti a tutti. Mentre sosteneva nei principi il diritto allo studio, lo decapitava nei fatti riducendone gli interventi. Ma il messaggio va anche agli accademici, professori e rettori.

Dobbiamo ritornare ai fini e aggiustare i mezzi. È anche questo il senso della recente lettera inviata al presidente del Consiglio e alla ministra dell'Università dalla Conferenza dei rettori. Il fine di motivare al miglioramento deve trovare nel premio e nell'autonomia il giusto incentivo. E il fine di non lasciare fuori dalla porta i giovani deve portare a interventi che almeno contengano la fuga verso altri Paesi o l'abbandono, tanto degli studenti quanto dei ricercatori.
Il presidente del Consiglio Letta nel suo recente discorso in Parlamento è stato su questi temi esplicito. Il Paese necessita riposte, ha detto, e fra queste «le risposte che passano per ulteriori investimenti seri nella scuola, nella ricerca, nella cultura e nell'università». A nome di tutta la comunità accademica ci aspettiamo che questo trovi concretezza già a partire dalla legge di Stabilità. Affinché il fine preceda i mezzi senza che i mezzi decidano il fine. Diversamente, saremo portati alla fine, questa sì, dell'università.

Presidente Crui