mercoledì 19 dicembre 2012

ASSEMBLEA: Tra progetti di federazione e dismissione della ricerca: quale futuro per l'Università di Udine?


Assemblea dell’Università di Udine

Mercoledì 16 gennaio 2013, ore 17 
Piazzale Kolbe 4, Udine  –   Aula A
Tra progetti di federazione e dismissione della ricerca:  quale futuro per l'Università di Udine?
 

Nel quadro delle problematiche aperte dall’attuazione della riforma Gelmini, emerge la ragione vera alla base delle scelte di sottodimensionamento e sottofinanziamento dell’Università italiana che la riforma istituzionalizza e per cui predispone una governance fortemente accentrata nella figura dei rettori e dei direttori generali.

Il progetto di ridimensionamento del settore della formazione superiore e di progressivo svuotamento delle istituzioni accademiche pubbliche, corrispondente ad una netta limitazione del diritto allo studio, si delinea sempre più come piano di ridefinizione dei vari atenei in strutture rivolte alla sola didattica e strutture complete, dove la didattica sia affiancata anche dalla ricerca.

Questa scelta è totalmente sbagliata rispetto alle necessità del Paese e discende solo dalla politica di disimpegno complessivo e smantellamento dello stato sociale che viene perseguita nell’ottica dominante neoliberista.

Il piano di ridimensionamento della spesa pubblica per l’istruzione superiore va respinto. Come suggerito dai colleghi di ROARS (http://www.roars.it/online/universita-e-ricerca-prime-proposte-roars-per-una-discussione/), dobbiamo ricordare che:

  • l’Italia ha solo il 21% di laureati nella fascia 25-34 anni, occupando il 34-esimo posto su 37 nazioni;
  • l’Italia è solo trentunesima su 36 nazioni per quanto riguarda la spesa per educazione terziaria rapportata al PIL;
  • durante la crisi, mentre in 24 nazioni su 31 la spesa complessiva in formazione cresceva in rapporto al PIL, in Italia la spesa non solo è diminuita ma ha subito il calo più pesante di tutte le nazioni considerate ad eccezione dell’Estonia;
  • la spesa cumulativa per studente universitario è inferiore alla media OCSE e ci vede sedicesimi su 25 nazioni considerate;
  • le tasse universitarie sono tra le più alte in Europa: l’Italia è quarta dopo Regno Unito, Paesi Bassi e Portogallo.
In base a questi fatti il progetto da sostenere è completamente opposto a quello perseguito dalla riforma Gelmini e dalle politiche ad essa conseguenti.  Le università non vanno smantellate, bensì potenziate. Le competenze scientifiche esistenti non vanno dismesse, bensì valorizzate. La dislocazione attuale delle sedi universitarie non è un problema, bensì una risorsa che va ampliata e articolata per qualificare ed innalzare il livello di formazione dei giovani. Questa prospettiva, infatti, è l’unica possibile per affrontare le difficoltà crescenti dell’economia globalizzata con gli strumenti di una competenza scientifica diffusa di alto livello.

Nel contesto dello svilimento complessivo delle strutture accademiche, l’Università di Udine sembra purtroppo destinata a diventare un polo satellite di una federazione veneto-friulana di atenei,  un polo destinato alla sola didattica o, al massimo, una sede didattica con qualche marginale attività di ricerca (biotecnologie agrarie?). 

Anche senza nessuna pregiudiziale contrarietà a riassetti organizzativi che prevedano  federazioni di atenei, riteniamo necessario evitare quelle operazioni che, col pretesto della razionalizzazione amministrativa e dell’economia di scala, attuino solo ridimensionamenti netti delle strutture esistenti, compromettendo i loro livelli di incisività qualitativa e quantitativa. 


Vogliamo ribadire che la difesa delle attività scientifiche e delle professionalità che operano a Udine non muove da alcuna spinta localistica, ma riflette solo la ferma convinzione del ruolo centrale che la ricerca scientifica ha nell’istituzione accademica: l’Università ha senso solo se la didattica è strettamente legata alla ricerca.

Le competenze e la sviluppo di scuole in numerose e diverse aree scientifiche sono il patrimonio di oltre 30 anni di lavoro dei ricercatori udinesi, un patrimonio che non può essere dissipato perché, come l’Università pubblica, è un bene comune che ha bisogno solo di continuità.

L’Università di Udine trae la sua ragione d’essere da questa attività di ricerca scientifica e la stessa  città di Udine ne ha tratto e continua a trarne vivacità e stimoli. 


Per difendere tutto ciò, per discutere e trovare le strategie di un movimento, per focalizzare queste tematiche specifiche nel quadro più generale di una risposta alla riforma Gelmini, abbiamo indetto un’ Assemblea aperta a tutti  il 16 gennaio  2013, alle ore 17 presso il polo Kolbe (Aula A, P.le Kolbe 4, Udine).



martedì 18 dicembre 2012

CRUI, CUN e CNSU atenei a rischio chiusura

COMUNICATO CRUI-CUN-CNSU 
(18 dicembre 2012)

La Conferenza dei Rettori delle Università Italiane (CRUI) 
Il Consiglio Universitario Nazionale (CUN) 
Il Consiglio Nazionale degli Studenti Universitari (CNSU)

DENUNCIANO

il taglio di 400 milioni di euro al Fondo di Finanziamento Ordinario per l'anno 2013 che provocherà una situazione di crisi gravissima ed irreversibile per il Sistema Universitario italiano.
A causa di questo ulteriore taglio, successivo ad altri avvenuti nelle precedenti leggi finanziarie, le Università non saranno più in grado di garantire la formazione, la ricerca, i servizi agli studenti e più in generale lo sviluppo tecnologico e culturale del Paese.
I tre Organismi di rappresentanza istituzionale del Sistema Universitario lanciano con forza l'allarme sul collasso che colpirà inevitabilmente la maggior parte degli Atenei italiani se il Senato della Repubblica non provvederà a ripristinare questi 400 mln di euro necessari alla sopravvivenza delle Università già pesantemente sottofinanziate.
CRUI, CUN e CNSU denunciano quella che si sta oggi configurando come una violazione dei diritti irrinunciabili e costituzionalmente garantiti della formazione e della ricerca a solo detrimento del futuro e delle opportunità lavorative delle prossime generazioni.

Il presidente della CRUI: Marco Mancini
Il presidente del CUN: Andrea Lenzi
Il presidente del CNSU: Mattia Sogaro

 

domenica 2 dicembre 2012

Non si può assistere inerti ad una situazione così insostenibile.

Una controriforma che soffoca l'università
APERTURA - Antonio Cavaliere
Eliminare la figura del ricercatore a tempo indeterminato è come immaginare un'università di soli professori, un'amministrazione pubblica fatta di soli dirigenti o un giornale fatto di soli direttori. Così dilaga la precarietà e la fuga dei cervelli
Tra i guasti della riforma Gelmini dell'Università - e delle contestuali politiche di tagli della spesa pubblica -, quello forse più grave tocca le vite di tanti giovani che della ricerca e della didattica universitaria hanno fatto il loro impegno di studi.
La riforma, come è noto agli addetti ai lavori, ha eliminato la figura del ricercatore a tempo indeterminato, sostituendola con quella del ricercatore precario, a tempo determinato. Contestualmente, la logica dei tagli di spesa ha comportato continue riduzioni del fondo di finanziamento universitario - l'ultima è quella pianificata dal cosiddetto governo dei «tecnici» -: con la conseguenza che è sempre più difficile assumere nuovi professori. Non si dica, quindi, che l'abolizione della figura del ricercatore a tempo indeterminato consegue l'obiettivo di «democratizzare» l'Università assumendo tutti nel ruolo dei professori; perché non sono state poste le condizioni strutturali per questo, ma per il contrario, cioè per un sostanziale blocco delle assunzioni. Oltretutto, quell'obiettivo, ammesso che lo si volesse davvero raggiungere, sarebbe già di per sé irragionevole, perché immaginare un'Università di soli professori è come immaginare un'amministrazione pubblica fatta solo di dirigenti, un giornale fatto solo di direttori, e così via: cioè un'organizzazione del lavoro priva di ruoli diversificati. E comunque, se ciò che sta a cuore dei riformatori fosse veramente la libertà del ricercatore, certamente non gioverebbe alla stessa l'aver ridotto i ricercatori, prima stabili, a precari! Il solo vero risultato dell'abolizione del ricercatore a tempo indeterminato è stato quello di aver tolto a giovani studiosi maturi per quel ruolo la possibilità di conseguirlo stabilmente.
I tagli fanno sì che al pensionamento di molti docenti corrisponda l'impossibilità di un ricambio generazionale nell'Università pubblica; e ciò rende sempre più difficile lo stesso svolgimento dei compiti didattici e di ricerca da parte dei docenti, spingendo inesorabilmente gli Atenei verso l'adozione del numero chiuso e, quindi, verso la limitazione del diritto allo studio universitario. Con il risultato di favorire gli interessi privati delle Università private, magari telematiche, dei veri diplomifici sovente di alto costo e pessima qualità.
In tale contesto, suona davvero come una presa in giro l'aver bandito recentemente un concorso nazionale per l'abilitazione alla docenza, laddove non vi saranno i fondi per assumere i docenti; si consideri che già oggi non sono pochissimi i professori che, pur vincitori di concorso, non possono essere assunti dalle Università per mancanza di risorse. E pensare che, secondo i dati ministeriali, sono decine di migliaia gli aspiranti alla prossima abilitazione, ovvero alla disoccupazione!
Ma ciò che più lascia sgomenti è la desertificazione dell'Università dai giovani cervelli che l'infausta riforma - avallata anche dal centrosinistra «democratico» - e la sua pedissequa attuazione da parte dei politicissimi «tecnici» recano con sé. Da sempre l'Università si regge sul lavoro precario e spesso gratuito di giovani cultori della materia; ebbene, per loro la riforma, la sua attuazione «tecnica» e la contestuale politica di tagli lineari, anziché porre fine ad un tale intollerabile stato di cose, hanno significato soltanto più precarietà e gratuità, fino a sancire nei fatti ciò che si dichiara con inquietante cinismo, cioè l'essere un'intera generazione di giovani ormai «perduta».
Di questa generazione perduta fa parte, ad esempio, il cultore della materia al quale non si può dare più un contratto per le attività didattiche integrative che svolge: inizialmente, perché la riforma Gelmini escludeva coloro che non avessero già un reddito di almeno 40.000 euro (avete letto bene, quarantamila annui; nessun neolaureato li guadagna, e se li guadagnasse non avrebbe certo bisogno di un contratto!), e ora, semplicemente, perché non ci sono i fondi. C'è, poi, il dottorando senza borsa - si tratta di circa un terzo dei dottorandi - che, per il suo lavoro di ricerca e di aiuto alla didattica, non solo non riceve un euro, ma deve pagare fino a duemila euro l'anno di tasse d'iscrizione; c'è il dottore di ricerca, che dopo aver investito tre anni e più nell'Università si trova drammaticamente senza sbocchi e per giunta, sostanzialmente, senza la possibilità di spendere altrove il titolo conseguito; e c'è colui che, dopo il dottorato, ha continuato a lavorare nell'Università, magari ricevendo per qualche tempo una retribuzione precaria - assegni di ricerca, borse postdottorato - ed ora, dopo lustri, dico lustri, di lavoro si vede disperatamente precluso un futuro lavorativo.
La conseguenza di tutto ciò è che un professore, ormai, quando si vede davanti un neolaureato promettente e con la passione per la ricerca, se ha un minimo di senso di responsabilità deve prospettargli realisticamente una graticola di un decennio - se va tutto bene! - vissuta precariamente e magari a proprie spese, e, quindi, deve consigliargli di cercare altrove il riconoscimento delle proprie capacità. Con il risultato contrario all'interesse dell'Università e della ricerca: quello della fuga dei cervelli.
E non si pensi che coloro che resisteranno alle frustrazioni del precariato e tenteranno l'abilitazione siano selezionati, con la riforma, secondo criteri di merito! Le farraginose procedure di selezione, frettolosamente e confusamente approntate dalle burocrazie del ministero Profumo, fanno infatti leva sul criterio della quantità di pubblicazioni; bisogna superare la «mediana» per concorrere all'abilitazione. Dunque, pubblicare molto, anche a discapito della qualità; spezzettare i lavori, fare in fretta pur di fare numero: ecco un altro meccanismo «criminogeno», distruttivo della vera ricerca, che richiede naturalmente tempo ed approfondimento. Ma questo sarebbe un altro, lungo discorso.
Non si può assistere inerti ad una situazione così insostenibile. Occorre una mobilitazione dell'intero mondo accademico e della società civile, che esiga una vera e propria rivoluzione copernicana delle recenti politiche dell'Università, per restituire ai giovani studiosi e, quindi, alla didattica e alla ricerca stesse, un futuro.



sabato 17 novembre 2012

La Redazione di Roars festeggia il primo anno di attività


La Redazione di ROARS festeggia un anno memorabile alla vigilia del primo convegno svoltosi a Roma mercoledì 14 novembre.
In un anno a Redazione di ROARS ha cercato di offrire contributi utili per una discussione aperta e documentata sulla politica dell’università e della ricerca, sui temi della valutazione, della scientometria e della bibliometria.

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Finalmente dopo sei mesi gli esiti della consultazione on-line sul Valore Legale dei titoli di studioli

Di seguito Cloniamo integralmente il post del BLOG ANVUR CRONACA
 senza aggiungere commenti

A distanza di sei mesi dalla chiusura della consultazione pubblica on-line sul tema del c.d. “valore legale del titolo di studio”, promossa dal Governo all’inizio dell’anno, ed a cui nel nostro blog abbiamo dato ampio spazio, sono stati finalmente comunicati i risultati ufficiali del Questionario proposto.
Il lieto evento si è verificato nel corso di un’audizione del Sottosegretario MIUR Elena Ugolini alla VII Commissione del Senato avvenuta il 23 ottobre scorso, e su cui abbiamo avuto modo di dirigere la nostra attenzione solo ora. A dire il vero, in sede di presentazione del Questionario, il Ministero prometteva qualcosa di più, e cioè che «Al termine della consultazione, i contributi ricevuti saranno pubblicati, in forma anonima, sul sito istituzionale del MIUR. Il Ministero elaborerà anche un documento riepilogativo che sarà oggetto di pubblicazione». Non ci risulta però che tali forme di diffusione dei risultati siano state ancora predisposte, ed uno dei motivi può senz’altro essere desunto dalla stessa audizione, laddove la Ugolini, dopo aver comunicato che «le risposte inoltrate al Ministero sono state 24.217», ed aver fornito i dati in suo possesso,
«fa presente che sono state fornite 15.163 risposte al quesito 15, che - ribadisce - dava la possibilità di fornire ulteriori osservazioni o proposte sugli argomenti discussi. Tali risposte non sono state tuttavia ancora elaborate»
Se tanto mi dà tanto, possiamo intuire che un po’ tutte le parti qualitative del Questionario (i.e. le risposte estese, opzionali per certi quesiti) sono ancora allo stato grezzo nei database del MIUR, e infatti il sottosegretario ha riferito solo le cifre riguardanti le parti “a risposta multipla” delle prime 14 domande, senza fare cenno ai “riquadri complementari”, pur presenti ed utili su alcuni punti per comprendere le opinioni dei rispondenti.

Comunque sia, pensiamo di fare cosa utile al pubblico riportando in calce a questo articolo, in forma sintetica, i risultati riferiti dalla Ugolini. A titolo di breve commento, possiamo riassumere l’opera del Ministero dicendo che il ritardo e parzialità con cui sono stati comunicati questi risultati non possono che suggerire una opinione complessiva abbastanza negativa di questa iniziativa, di cui avevamo comunque condiviso lo spirito iniziale. Speravamo cioè che una simile consultazione potesse servire a complementare i lavori già fatti dalla VII Commissione in sede di “indagine conoscitiva”, e che erano stati conclusi in modo abbastanza buono. Da notare, infatti, a questo riguardo, la replica finale piuttosto stizzita del Presidente di Commissione Guido Possa
«ad avviso del quale una consultazione telematica su un argomento così complesso come il valore legale della laurea risulta di assai dubbia legittimità. Una scelta di tal genere sottintende infatti una profonda sfiducia nella democrazia rappresentativa, cui invece compete l’esame e la soluzione di tematiche così delicate. Non a caso, del resto, la Commissione ha condotto a termine un’approfondita indagine conoscitiva su questo tema, conclusasi con l’approvazione di un documento articolato e ponderato.
Il questionario predisposto per la consultazione pubblica testimonia invece la totale inadeguatezza di un siffatto strumento di fronte ad un tema così importante e ricco di implicazioni giuridiche e sociali.
Deplora pertanto l’ingiustificata sfiducia evidentemente nutrita dal Governo rispetto al sistema democratico e censura il tentativo di aggirare la complessità con scelte superficiali.»
Dato credito al commento bipartisan di Possa, ricordiamo solo, qui, i principali risultati del questionario, che sono tre, e in parte già resi noti da “soffiate di stampa”:
  • quello relativo al primo quesito, secondo cui il 74% delle risposte giudica positivamente la necessità del possesso di uno specifico titolo di studio per poter esercitare una specifica professione, il 10% lo valuta negativamente e il 16% ritiene che dipenda dal tipo di professione;
  • quello relativo alle disposizioni dei bandi di concorso che prevedano l’attribuzione di punteggi aggiuntivi a coloro che abbiano conseguito un voto di laurea elevato, che vengono valutate negativamente dal 46,3% delle risposte e positivamente dal 44,2%;
  • quello relativo alla “differenziazione qualitativa dei titoli di studio nominalmente equivalenti”, che viene ritenuta negativa dal 53,8% delle risposte perché creerebbe distinzioni basate su criteri opinabili, mentre è positiva per il 39,7% dei partecipanti al questionario.


Notiamo fra altro che la Ugolini non ha fornito il dato numerico di quanti hanno risposto alle singole domande (tranne la 15, già ricordata), questione rilevante per decifrare il significato delle percentuali, e in particolare quelle riferite ai quesiti di tutto il terzo blocco (riguardante la “differenziazione qualitativa”).

Complessivamente, non possiamo far altro che ribadire quanto abbiamo già scritto a più riprese su questo blog: meno ideologia, più approfondimento dei problemi, dibattito basato su punti precisi e non generici, questi sono i precetti che ci sembrano ineludibili nella trattazione delle politiche pubbliche su questo tema.

Quesito 1
Come giudicate la necessità di possedere uno specifico titolo di studio per poter esercitare una determinata professione?
a) Positivamente, perché il possesso di uno specifico titolo di studio garantisce la qualità della prestazione resa dal professionista, che il cliente potrebbe non essere in grado di verificare da solo: 74%
b) Negativamente, perché la necessità di possedere uno specifico titolo di studio impedisce che soggetti con competenze acquisite attraverso l’esperienza pratica e/o attraverso studi personali possano esercitare una determinata professione: 10%
c) Dipende dal tipo di professione: 16%

Quesito 2
Come valutate la necessità di possedere uno specifico titolo di studio per l’ammissione all'esame di abilitazione per l’esercizio di una professione?
a) Positivamente, perché il possesso di uno specifico titolo di studio è garanzia di preparazione adeguata e consente di selezionare, fin da subito, gli ammessi all'esame di abilitazione: 71,1%
b) Negativamente, perché il superamento dell’esame di abilitazione è sufficiente a dimostrare il possesso di adeguate competenze: 19,1%
c) Dipende dal tipo di professione: 9,8%

Quesito 3
Ritenete che vi siano professioni non regolamentate, per le quali dovrebbe essere richiesto uno specifico titolo di studio, attualmente non necessario?
a) Sì: 28,3%
b) No: 71,7%

Quesito 4
Ritenete che vi siano professioni per le quali il titolo di studio oggi richiesto sia eccessivo rispetto al tipo di prestazione che si è chiamati a svolgere?
a) Sì: 23,9%
b) No: 76,1%

Quesito 5
Ritenete necessario il possesso di uno specifico titolo di studio per l'accesso al pubblico impiego?
a) Sì, perché il possesso di uno specifico titolo di studio garantisce professionalità e competenza da parte di impiegati, funzionari e dirigenti pubblici ed evita un’eccessiva discrezionalità nella loro assunzione: 58,5%
b) No, perché il titolo di studio può essere poco significativo in rapporto alle funzioni da svolgere e il possesso di adeguate competenze dovrebbe essere accertato esclusivamente in sede di svolgimento delle prove concorsuali: 22%
c) Dipende dal tipo di funzioni che si è chiamati a svolgere: 19,5%

Quesito 6
Ritenete necessario il conseguimento di un voto elevato, all’esito del percorso di studi svolto, per partecipare ai concorsi per l'accesso ad alcune tipologie di impiego/qualifiche nella pubblica amministrazione?
a) Sì, perché solo i più meritevoli devono poter accedere a ranghi elevati e/o a funzioni particolarmente qualificate nella pubblica amministrazione: 35%
b) No, perché, indipendentemente dalla votazione finale, il titolo conseguito assicura il possesso delle competenze/conoscenze necessarie: 47,3%
c) Altro: 17,7%

Quesito 7
Come giudicate le disposizioni dei bandi di concorso che prevedono l’attribuzione di punteggi aggiuntivi a coloro che abbiano conseguito un voto di laurea elevato?
a) Positivamente, perché il voto di laurea conseguito è espressione di particolare impegno, bravura e competenza: 44,2%
b) Negativamente, perché il voto di laurea conseguito consente valutazioni comparative, di merito, solo tra studenti dello stesso ateneo: 46,3%
c) Altro: 9,5%

Quesito 8
Ritenete che vi siano concorsi in cui, pur non essendo attualmente prevista, dovrebbe essere richiesta la laurea? Quali in particolare? E quale laurea?
a) Sì: 23,1%
b) No: 76,9%

Quesito 9
Ritenete che vi siano concorsi per i quali il titolo di studio oggi richiesto sia eccessivo rispetto al tipo di funzioni che si è chiamati a svolgere?
a) Sì: 20,7%
b) No: 79,3%

Quesito 10
Come giudicate la necessità che i dipendenti pubblici debbano possedere uno specifico titolo di studio ai fini delle progressioni in carriera c.d. verticali?
a) Positivamente, perché il possesso di uno specifico titolo di studio garantisce l’idoneità del dipendente a svolgere attività riconducibili all'area funzionale superiore: 56,3%
b) Negativamente, perché il passaggio da un’area funzionale all’altra dovrebbe basarsi, esclusivamente, sulle competenze acquisite attraverso l’esperienza maturata nell'amministrazione e/o attraverso studi personali: 34,2%
c) Altro: 9,5%

Quesito 11
Come giudichereste una differenziazione qualitativa di titoli di studio nominalmente equivalenti?
a) Positivamente, perché darebbe vita ad un sistema maggiormente meritocratico e costituirebbe un incentivo ad una formazione migliore per studenti ed istituzioni scolastiche/universitarie: 39,7%
b) Negativamente, perché creerebbe distinzioni basate su criteri opinabili e potrebbe pregiudicare chi non può accedere alla formazione ritenuta più qualificante: 53,8%
c) Altro: 6,5%

Quesito 12
Per quali finalità ritenete possa essere utile una differenziazione tra titoli di studio nominalmente equivalenti?
a) Per selezionare i partecipanti ad un pubblico concorso ovvero all’esame di abilitazione per l'esercizio di una professione: 21,2%
b) Per attribuire punteggi differenti ai partecipanti ad un pubblico concorso ovvero all’esame di abilitazione per l’esercizio di una professione e ai dipendenti pubblici ai fini delle progressioni in carriera: 44,7%
c) Per altre finalità: 34,1%

Questione 13
Ai fini di un’eventuale differenziazione di titoli di studio nominalmente equivalenti, quali valutazioni ritenete che dovrebbero rilevare?
a) Valutazioni relative all’istituto che ha rilasciato il titolo (esistenza di procedure selettive per l’accesso al corso di studi; numero di studenti; numero di abbandoni; numero di studenti che si laureano con il massimo dei voti; voto medio conseguito; strutture didattiche; curricula dei docenti; piani di studio, etc): 16,7%
b) Valutazioni relative al percorso di studi proprio di ogni soggetto (tempo impiegato per conseguire il titolo; voti conseguiti durante il corso di studi; votazione finale, etc): 27,9%
c) Sia a) che b): 37,4%
d) Altre valutazioni: 18%

Quesito 14
Ai fini di un’eventuale differenziazione di titoli di studio nominalmente equivalenti, chi ritenete che dovrebbe operare le relative valutazioni?
a) Un organismo centrale, che dovrebbe valutare i titoli di studio rilasciati da ciascun istituto autorizzato e/o fornire criteri per valutare il singolo soggetto che abbia conseguito un titolo di studio: 54,7%
b) Ciascuna commissione d’esame o di concorso: non comunicato
c) Ciascuna commissione d’esame o di concorso sulla base di informazioni e criteri generali elaborati ai sensi della lettera a): non comunicato
d) Altro: non comunicato

lunedì 12 novembre 2012

domenica 11 novembre 2012

Nota del CUN al Ministro Profumo in cui si chiede vengano reintegrati 400 milioni di euro sottratti al Fondo Finanziamento Ordinario 2013 delle Università

Al Sig. Ministro
Prof. Francesco Profumo

Oggetto: Ulteriori provvedimenti di riduzione delle risorse destinate al FFO 2013. Le preoccupazioni e le richieste del Consiglio Universitario Nazionale.

Adunanza del 7/11/2012

IL CONSIGLIO UNIVERSITARIO NAZIONALE
ribadendo le preoccupazioni più volte espresse negli anni passati, in merito ai gravi rischi che, da tempo, compromettono la competitività europea e internazionale del Sistema Universitario, conseguenti alle norme che ne riducono costantemente e significativamente, le risorse economiche;
nel ricordare che il Sistema Universitario e della Ricerca ha da sempre inteso contribuire al contenimento della spesa pubblica e che tuttavia le risorse finanziarie ad esso assegnate sono investimenti per lo sviluppo della ricerca scientifica e dell’alta formazione, fattori strategici per la qualificazione e il potenziamento del ruolo assolto dall’Italia in ambito internazionale, come più volte ricordato dal Sign. Presidente della Repubblica;

GIUDICA

particolarmente allarmante la previsione di un’ulteriore riduzione di 400 milioni di Euro a carico del Fondo di Finanziamento Ordinario 2013, condividendo perciò le medesime istanze poste a contenuto della mozione CRUI del 25 ottobre 2012;

DENUNCIA

che tale riduzione al finanziamento complessivo del Sistema genera una situazione di crisi irreversibile, condizionando negativamente la capacità degli Atenei di attivare processi di riorganizzazione e di gestione delle proprie risorse, anche umane, a fronte di spese fisse non riducibili nel breve termine, fino a metterne a rischio le prospettive di funzionamento e sviluppo;

CHIEDE

al Governo e al Parlamento di reintegrare i 400 milioni di EURO e di ripristinare il FFO 2013 almeno al livello del 2012.

giovedì 8 novembre 2012

Considerazioni del mattino (8 novembre 2012)



Questa mattina mi sono svegliata e ho ripensato al concerto di ieri sera di Vinicio Capossela e alle facce dei musicisti greci che suonano con lui il rebetiko, la musica che si canta insieme come un coro ma si balla da soli. 

Così ha detto Capossela, ricordando che poche ore prima ad Atene c'erano stati scontri tra manifestanti e la polizia perché il parlamento ha approvato altri tagli per 13 miliardi e mezzo. 
Cioè meno pensioni e più licenziamenti. 
Era la condizione per accedere a 31 miliardi di aiuti della Troika. Allora mi è venuta in mente un'intervista all'uomo che l'anno prossimo sfiderà Angela Merkel per la guida della Germania. Si chiama Peer Steinbrueck, ha 65 anni ed è già stato Ministro delle Finanze nel governo di grande coalizione. Secondo lui la Cancelliera si è fatta coinvolgere dai tedeschi in una politica di rancore verso il sud dell'Europa. 
Una politica che ci condanna alla depressione. 
Chiedetelo ai greci che con l'austerità finora hanno raccolto il Pil a meno 20% e la disoccupazione al 25. 
Il rebetiko è una musica ribelle, in cui si canta il desiderio per qualcosa che non c'è. 
Così leggo in un'intervista a Capossela. 
Steinbrueck invece dice che vuole un'alleanza con i Verdi e che non pensa nemmeno al caso in cui dalle urne non uscisse questa maggioranza, che lui si occupa solo dello scenario che desidera perché tutto il resto distrae. 
E allora mi è venuto in mente quel pezzo di Vinicio in cui c'è un pugile che le dà e un poveraccio che le prende. 
E ho pensato che è proprio così: la vita per qualcuno è ok ma per altri è ko.

mercoledì 7 novembre 2012

"Grazie a tutti, il meglio deve ancora venire"





















"Il meglio deve ancora venire”, “torno alla Casa Bianca più forte e ispirato che mai”: cosi’ il presidente Barack Obama si è rivolto ai 10mila sostenitori osannanti sul palco del McCormick Place di Chicago per celebrare la sua rielezione. 
Avete fatto sentire la vostra voce e avete fatto la differenza ...,

Ricordiamocelo tutti i giorni anche nel nostro piccolo e cerchiamo di unirci in un coro che faccia la differenza in Ateneo, in Regione, in Italia e in Europa.


ASSEMBLEA APERTA A TUTTO IL PERSONALE UNIVERSITARIO
28 NOVEMBRE 2012 , ore 17.00  
AULA A – Piazzale KOLBE, 4 – Udine

CoUP di Udine

Cari colleghi,

dopo l’entrata in vigore della Legge 240/2010 e le, concitate per certi versi, tappe iniziali di attuazione (formulazione e revisione dello Statuto, nuova articolazione dell’Amministrazione centrale d’Ateneo, elezione dei rappresentanti al Senato Accademico e formazione del CdA, disattivazione delle Facoltà), siamo entrati nel vivo dell’attuazione dei meccanismi di attivazione dei Dipartimenti con funzioni didattiche nonchè delle Scuole, di accreditamento dei Corsi di studio e il bando per le idoneità, con la pubblicazione dei criteri, per le valutazioni, per le commissioni, ecc.

Si impone la necessità di aprire un dibattito sui meccanismi della “riforma”, sulle conseguenze che nei fatti avranno alcune scelte di principio per la stessa esistenza dell’istituzione universitaria pubblica, sulle modalità di progressione di carriera e riconoscimento di competenza rispetto ai modelli di sviluppo delle piante organiche adottati, sull’assenza di interventi e dibattito per un rimodellamento strutturale degli ordinamenti didattici, sulla politica di sottofinanziamento sistematico dell’università, della ricerca e della pubblica istruzione in generale che si continua a perseguire in questo Paese, indipendentemente dai governi in carica, sulle scelte locali di governo e di finanziamento del nostro Ateneo.

Il Coordinamento per l’Università Pubblica (CoUP) di Udine promuove quindi un’assemblea dei docenti (professori ordinari, associati e aggregati, ricercatori a tempo indeterminato e determinato, lettori), aperta comunque a tutto il personale universitario, per il giorno 28 novembre 2012, alle ore 17.00 presso l’aula A del polo Kolbe (P.le Kolbe, 4), allo scopo di aprire una riflessione complessiva sulla situazione accademica e verificare l’opportunità di sollecitare in ogni sede un ripensamento profondo dell’assetto complessivo dell’Università italiana, così come determinato da una "riforma" che, per molti versi, pone le basi di un lento ma inesorabile smantellamento dell’istituzione universitaria pubblica.
 


ASSEMBLEA APERTA A TUTTO IL PERSONALE UNIVERSITARIO

28 NOVEMBRE 2012 , ore 17.00  
AULA A – Piazzale KOLBE, 4 – Udine

CoUP di Udine
 
 

domenica 28 ottobre 2012

FEDERCONSUMATORI - III rapporto sui costi degli atenei italiani

Comunicato Stampa
26/10/2012
Università: III rapporto sui costi degli atenei italiani – I parte. Le rette crescono del +7% rispetto allo scorso anno. Paradossalmente aumentano in misura maggiore quelle per i redditi più bassi.
 

Prosegue l’attività di monitoraggio dei costi degli Atenei da parte della Federconsumatori. Per il terzo anno consecutivo, infatti, l’O.N.F. – Osservatorio Nazionale Federconsumatori ha realizzato un’indagine sulle tasse applicate dalle Università italiane, prendendo in esame le rette annuali in riferimento ad alcune fasce di reddito standard e svolgendo i calcoli secondo modelli e formule indicati dagli Atenei stessi. Nelle prossime settimane seguirà la II parte della ricerca, relativa al costo della vita per gli studenti in sede e fuori sede.
 
Rispetto allo scorso anno accademico emerge un notevole incremento delle tasse universitarie.
Mediamente l’aumento rispetto al 2011 è del +7%, pari ad un aggravio di 70,68 Euro.
Paradossalmente sono i redditi più bassi a subire i rincari maggiori.
Per la prima fascia, l’aumento è stato dell’11,3%, attestandosi invece al 10% per gli studenti che appartengono alla seconda fascia e al 2,8% per chi fa parte della terza. I costi per la penultima e per l’ultima fascia, infine, sono aumentati rispettivamente dell’1,1% e del 5,5%.
Aumenti che certamente non favoriscono la formazione dei giovani e che dimostrano la scarsa volontà di investire nel futuro del nostro Paese, già testimoniata dalla grave carenza di risorse per la ricerca e l’innovazione.
 
L’esito della ricerca ha dimostrato che, come già rilevato nei due Rapporti precedenti, ad imporre tasse particolarmente salate sono le Università del Nord Italia: rispetto alla media nazionale, costano l’8,40% in più se si prende in esame la fascia più bassa e addirittura il 30,42% in più considerando gli importi massimi. Da notare, inoltre, il corposo divario tra gli Atenei settentrionali e quelli meridionali: mediamente, questi ultimi richiedono spese inferiori del 16,7% per la prima fascia e del 44,3% per la fascia più alta.
Il primato per la retta più cara va, ancora una volta, all’Università di Parma: per frequentarla, gli studenti devono pagare tasse annuali minime di 931,92 Euro per le Facoltà umanistiche e di 1047,74 Euro per quelle scientifiche.
 
Nell’analisi, infine, non si può non considerare la grave incidenza dell’evasione fiscale, poiché il calcolo delle tasse universitarie si basa sulla dichiarazione dei redditi.
Questo fenomeno, unito alla diminuzione degli investimenti destinati alla pubblica istruzione, sta facendo crescere progressivamente il numero di studenti che rientrano nelle fasce più basse, provocando quindi una diminuzione delle risorse da distribuire: ad essere penalizzati, quindi, saranno coloro i quali hanno davvero bisogno di usufruire dell’istruzione pubblica senza spendere una fortuna.
Sono infatti numerose le famiglie monoreddito di lavoratori autonomi – dai gioiellieri ai ristoratori – che rientrano nella seconda fascia ISEE/ISEEU considerata (reddito fino a 10.000 Euro) e che quindi pagano contributi relativamente bassi.
“In questo modo il figlio di un operaio specializzato finisce per pagare imposte superiori a quelle che vengono richieste al figlio di un orafo o di un pellicciaio.” – dichiara Rosario Trefiletti, Presidente Federconsumatori.  

giovedì 25 ottobre 2012

SU LA TESTA RICOMICIO DA TE

LINK: proposte concrete

 
 "Le stesse università di Oxford e di Cambridge, che a detta di Adamo Smith erano corrotte e inefficienti, si rinnovarono ed ebbe inizio quello sviluppo che ora tutti conoscono. 
Fu un piccolo gruppo di Puritani (quarantadue) che nel 1620 s’imbarcò sulla nave «Mayflower» per andare in America, nel New England, per trovare la libertà (in patria erano perseguitati).
Fondarono una comunità che escludeva ogni vincolo feudale per le terre e dava preminenza alla cultura (ne parlano a lungo Smith e Tocqueville). 
Senza i Puritani, gli Stati Uniti non sarebbero oggi quello che sono, compresa la forza militare, che è prodotta dalla cultura. (Ciò non toglie che l’America di Bush non mi piace affatto, ma non durerà.) 
Il New England condizionò in seguito lo sviluppo del Nord degli Stati Uniti, mentre nel Sud andarono – com’era la regola nelle colonie – gli avventurieri, per far soldi prima con le miniere e poi con le produzioni tropicali, dove impiegarono largamente gli schiavi neri.
L’esempio inglese dei Puritani può rincuorarci?
Sì, se però ci rendiamo conto che ci dovremo dare da fare con grande impegno e a lungo, per uscire dall’abisso di abiezione in cui siamo precipitati. 
In Italia un substrato di civiltà esiste: in alcune categorie sociali, specialmente tra i contadini medi e fra certi strati di operai e di piccoli imprenditori, ci sono persone che possono aiutare la ripresa. 
Occorrono però gli intellettuali: in tutti i paesi ci sono i servi, gli opportunisti e gli intellettuali che si espongono. 
Questi ultimi da noi sono assai più rari che nei paesi civili. 
La speranza è che, man mano che lo stato di abiezione in cui oggi ci troviamo diviene evidente a tutti, cresca il numero degli intellettuali disposti a rischiare, e che si facciano vivi, dopo aver tanto sofferto, tutti coloro che, nella politica e nella società civile, si oppongono a Berlusconi e ai berlusconiani di ogni tendenza: solo così potremo riprendere il cammino dell’incivilimento."

Paolo Sylos Labini

 


MANIFESTO PER LA LIBERAZIONE DEI SAPERI

Hanno imprigionato i saperi. Li hanno ingabbiati. Hanno costruito recinti, barriere; hanno cercato di renderli scarsi, competitivi, servi di questo modello economico e finanziario che ha prodotto solo crisi, fondato sulle diseguaglianze per molti e ricchezza per pochi. I recinti sono i processi di privatizzazione, i brevetti, la competitività e la precarizzazione per chi produce saperi; le gabbie sono quelle troppo poche risorse spese in ricerca per produrre armi, macchine inquinanti, per generare diseguaglianze, per disegnare una società di subalterni alle logiche del pensiero unico: quello dell’economia sopra la società. Il movimento studentesco non può restare fermo di fronte  a questo scenario.
Costruire un manifesto per la liberazione dei saperi vuol dire pensare, al tempo della crisi, di ristabilire come priorità il rilancio del ruolo dei saperi nella società per costruire un diverso modello di sviluppo. L’accesso alle conoscenze limitato a pochi, i processi di privatizzazione di scuole e università, un nuovo feudalesimo dei saperi legati al mercato del lavoro, la precarizzazione di ricercatori, docenti e del mondo della produzione cognitiva ci consegnano un modello di società diseguale in cui i saperi sono piegati alla logica della competizione e di una produzione basata sullo sfruttamento delle risorse umane e ambientali. Viviamo scuole e università dove si tende ad insegnare un “pensiero unico” economico, storico, giuridico, dove la conoscenza viene quantificata, tramite una valutazione fittizia, nella forma dei crediti. In questo contesto, la lotta delle studentesse e degli studenti, dei dottorandi, ricercatori e docenti, di tutto il mondo della formazione e della produzione sociale dei saperi deve costruire un tessuto largo e nuovo di rifiuto dello status quo in cui in questi anni ci hanno condotto politiche scellerate di tagli e privatizzazioni. Ma questo non basta.
E’ il momento di cominciare a costruire un piano di rilancio del valore pubblico dei saperi e della loro natura pubblica e slegata dalle logiche del modello economico e produttivo. Si tratta di una lotta d’attacco capace di ripubblicizzare scuole e università, svuotati dalla loro natura pubblica e dati in pasto ai privati con la politica di tagli e dequalificazione dei processi formativi. Vogliamo che il sapere torni ad essere il luogo e il tempo dell’emancipazione collettiva, che la produzione cognitiva, la ricerca, la creazione di pensiero sia costruita attorno ad un modello di società che rifiuti la guerra, lo sfruttamento ambientale e che metta al centro la libertà come valore collettivo basata sulla giustizia sociale e l’eguaglianza sostanziale per tutte e tutti.
Liberare i saperi significa lottare per costruire uguaglianza sociale e di genere, liberando le diversità di genere, di capacità, di pensiero, vuol dire pensare ad un nuovo modo di pensare le relazioni, l’economia, la democrazia e la vita. Il Manifesto della liberazione dei saperi, è una forma dinamica e collettiva, uno spazio di discussione aperto, con cui vogliamo costruire un dibattito sul valore dei saperi, dei luoghi della formazione, della loro radicale centralità nella trasformazione della società. I saperi sono frutto di un atto cooperativo e sociale; i saperi sono processi ibridi, informali, ma soprattutto non sono recintabili.

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mercoledì 24 ottobre 2012

ROARS - La fuga senza ritorno dei ricercatori italiani (Posted by Paolo Valente, 21 ottobre 2012)

Nel dibattito sul tema della perdita di talenti si sostiene spesso che la mobilità dei ricercatori è positiva, poiché permette di arricchire il bagaglio individuale e favorisce la circolazione delle idee: “andate e crescete (professionalmente)”
 In effetti è vero che la propensione alla mobilità aumenta con il livello di istruzione e specializzazione: dei 60 milioni di persone che vanno a lavorare all’estero nei paesi OCSE circa un terzo ha una laurea. 
 Se si considerano solo i ricercatori, in media il 40% va a lavorare in un paese diverso da quello in cui è stato educato. Percentuale che sale al 50% se si considerano gli scienziati più citati.
Niente di cui preoccuparsi, dunque? 
Non proprio. 
Come spesso capita, per comprendere davvero un fenomeno occorre quantificarlo, misurarlo. E anche se la statistica spesso spaventa, la percentuale più semplice e significativa è la differenza tra ricercatori in entrata (educati in un altro paese), rispetto a quelli in uscita: il bilancio del talento. Ed è questo bilancio, che per l’Italia è in forte perdita, a darci le proporzioni della “fuga”: 3% in ingresso contro il 16.2% in uscita, ovvero un deficit che segna -13%. 
Le percentuali sono invece in pareggio, come per la Germania, positive – clamorose Svizzera e Svezia, ampiamente oltre il +20%, abbastanza bene Regno Unito (+7.8%) e Francia (+4.1%) – oppure in perdita assai più lieve, come la Spagna circa al -1% (7.3%-8.4%). 
Per trovare un bilancio nettamente peggiore dell’Italia dobbiamo, infatti, prendere in considerazione l’India, con meno dell’1% di ricercatori stranieri in ingresso contro quasi il 40% in fuga.


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domenica 21 ottobre 2012

CHI SFASCIA LA SCUOLA - L'UNIVERSITA' - LA RICERCA ?


Un Governo di tecnici spalleggiato da mandanti armati di buona volontà che tratta la Scuola, l'Università e la Ricerca in perfetta continuità con il Governo che lo ha preceduto.

Tre istituzioni per Noi sacre e di cui essere orgogliosi, umiliate alla stregua dell'immagine un poco particolare che ben descrive lo "spettacolo" offerto.

Si suggerisce la lettura di alcuni testi che riteniamo in grado di far capire come le 3 istituzioni siano oggetto di sciempio con azioni di segno inverso a quello che il buon senso consiglierebbe.




S C U O L A

COME SFASCIARE L'ISTITUZIONE IN 12 MOSSE
(Il Sussidiario, 18 ottobre 2012)


Il ministro Profumo lancia un “patto” per la scuola. Un “patto” è qualcosa che presuppone un confronto, un accordo e allora è sembrato che fosse venuta l’ora del dialogo e, in questo spirito, ho commentato l’intervista del ministro al Messaggero in cui egli lanciava questa idea del “patto”.
Poi ho letto la frase pronunciata dallo stesso ministro alla convenzione Diesse e commentata sul Sussidiario da Fabrizio Foschi: «La scuola, come luogo fisico, diventerà un ambiente di interazione allargata e di confronto, che mano a mano supererà gli spazi tradizionali dell’aula e dei corridoi. La immaginiamo come un vero e proprio Hub della conoscenza. Aperto agli studenti e alla cittadinanza, centro di coesione territoriale e di servizi alla comunità, un vero e proprio centro civico».
L’ho letta e mi sono detto che è troppo, francamente troppo.
Dice cortesemente il titolo dell’articolo di Foschi che al centro civico di Profumo mancano le parole “educazione” e “docente” . Nel testo si dice che la scuola è un’altra cosa. Infatti, al “centro civico” di Profumo manca semplicemente la scuola.

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U N I V E R S I T A'

L’UNIVERSITA' ITALIANA NON E' TUTTA DA BUTTARE  
di Francesco Sylos Labini  25 aprile 2012, "Il Fatto Quotidiano"


( ... omissis ... )

L’inesorabile sottofinanziamento del sistema universitario italiano porterà in breve tempo anche all’esaurimento di formazione di giovani preparati che hanno successo all’estero. Con il blocco delle assunzioni che si prospetta con i nuovi decreti che il governo sta discutendo in questi giorni, si interromperà un ciclo di trasmissione di conoscenze per mancanza di nuove leve. Un danno drammatico a cui ci vorranno lustri per porre rimedio. In un momento così grave non solo per l’università ma per il paese conviene riflettere su quanto scrisse Albert Einstein: “ In tempi di crisi la gente è generalmente ignara di tutto quello che è fuori dalle sue immediate  necessità ….   Come regola generale, il sapere e i metodi che crea perseguono gli scopi pratici solo indirettamente e, in molti casi, non prima che siano trascorse diverse generazioni.  Laddove la ricerca scientifica viene bloccata, la vita intellettuale della nazione si inaridisce, il che significa il prosciugamento di tante possibilità di futuro sviluppo. Ecco quello che dobbiamo prevenire”.


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R I C E R C A

GLI ENTI DI RICERCA INUTILI

16 ottobre 2012 di Paolo Valente su "L'Unità".

Il disegno di legge (DDL) di stabilità appena inviato dal Governo al Parlamento rappresenta un nuovo capitolo dei sacrifici che il nostro Paese deve affrontare per sistemare i conti pubblici. Si tratta di una manovra ancora una volta pesante: circa 12 miliardi di Euro, con misure nel campo di sanità, pubblico impiego, lavoro.
Tra le tante norme, nella prima bozza del DDL c’era un articolo, l’art. 11, che ha provocato le non clamorose ma qualificate proteste dei ricercatori degli enti di ricerca pubblici: si prevedeva infatti di sciogliere i dodici istituti che si occupano di ricerca nell’ambito del Ministero dell’istruzione, università e ricerca (MIUR), per poi ricostruire un unico ente multidisciplinare, una sorte di super-CNR, con la parallela istituzione di due nuove amministrazioni, ovvero due agenzie (per il finanziamento della ricerca e per il trasferimento tecnologico), con il contestuale assorbimento di altri enti come ASI, ISPRA e ENEA.

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Di seguito l'art.11 citato










giovedì 18 ottobre 2012

Dal 15 al 21 ottobre...una settimana per il reddito garantito!

Nel giugno scorso un'ampia coalizione di associazioni, reti sociali, partiti, movimenti, comitati, collettivi ha lanciato la campagna per un reddito minimo garantito in Italia. Una campagna nata intorno ad una proposta di legge di iniziativa popolare che intende istituire anche nel nostro Paese una garanzia per il reddito per coloro che sono precari, disoccupati e inoccupati, oggi soprattutto giovani, donne e Working Poor.
Una campagna che vuole rilanciare quelle fondamenta di un modello sociale europeo che le politiche neoliberiste hanno minato, per un Welfare universale che garantisca misure di sostegno alle persone, per rilanciare politiche di redistribuzione delle ricchezze e mettere al centro del dibattito politico le garanzie, i diritti, le libertà di scelta delle persone.

La proposta di legge di iniziativa popolare per il reddito minimo garantito in Italia lanciata a giugno (e che continua a raccogliere adesioni e sostegno) terminerà a dicembre: l'obiettivo minimo è raggiungere almeno 50 mila, ma si può fare di più! Raccogliere migliaia e migliaia di firme significa dare un segnale politico e sociale importantissimo, sia alla società che alla politica italiana. Ma non solo: questa campagna rende possibile l'opportunità di discutere di reddito e diritti, di parlare alla società, nelle strade, piazze, università, luoghi di lavoro, con i giovani, le donne, i precari, gli studenti. In poche parole, una grande opportunità di comunicazione e iniziativa sociale che dia maggior forza ad una nuova stagione di diritti a partire dal reddito garantito.

Per questo, oltre le tante iniziative già realizzate durante questi mesi e promosse dai partecipanti alla campagna, riteniamo importante proporre la realizzazione di un evento comune: "LA SETTIMANA PER IL REDDITO GARANTITO" dal 15 al 21 ottobre.

http://www.redditogarantito.it/
Video prodotto da European Alternatives.
Illustrato da Sara Tarquini, motion graphic e animazione di Riccardo Chiara. Musiche di David Fanfano.
Scritto e diretto da Severine Lenglet, Cecilia Anesi e Giulio Rubino, con la supervisione di Alessandro Valera, Lorenzo Marsili e Niccolo Milanese.


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