G.A. Petsko - LETTERA APERTA ALLA S.U.N.Y.

La lettera che segue a George M. Philip, presidente dalla State University of New York (SUNY) di Albany, scaturita dalla proposta di chiusura dei dipartimenti di Francese, Italiano, Russo, Lettere Classiche ed Arti Teatrali, fu originariamente pubblicata sul blog Genome Biology ed è riprodotta col permesso dell’autore.

(traduzione di Rino Esposito)



22.11.2010

Caro Presidente Philip,
Probabilmente l’ultima cosa di cui sente il bisogno in questo momento è l’ennesima protesta, dall’esterno della sua Università, contro la sua decisione. Se lei volesse obiettare che il sottoscritto non può comprendere tutti i particolari della situazione non essendo mai appartenuto alla SUNY di Albany, non posso smentirla. Tuttavia, non me la sento di lasciar passare una cosa come questa e spero, una volta entrato in argomento, che lei comprenda perché.
Lo scorso 1° ottobre lei annunciò che i dipartimenti di Lingua Francese, Italiana, Russa, Lettere Classiche ed Arti Teatrali sarebbero stati chiusi. Fornì numerose motivazioni per la decisione, compreso il fatto che vi erano pochi iscritti per questi corsi di diploma. Naturalmente la sua decisione fu anche, forse principalmente, un taglio di costi, che in effetti, lei disse, avrebbe potuto essere evitato se fosse stata approvata la legge che consentiva alla sua istituzione di fissare proprie tasse di frequenza. In ultimo,  lei affermò che le discipline umanistiche rappresentano, dal punto di vista finanziario, una perdita, al contrario delle discipline scientifiche che attirano finanziamenti sotto forma di fondi diretti e contratti.
Tuttavia la invito ad esaminare in dettaglio queste e le altre sue motivazioni, perché penso che, ad un vaglio attento, gli elementi su cui ci si basa presentino importanti risvolti ignorati dalle sue argomentazioni. Per prima, la questione delle iscrizioni. Sono certo che un numero relativamente limitato di studenti scelga quei corsi di studio di questi tempi, proprio come dice lei. Ma non ve ne sarebbero stati tanti nemmeno ai miei tempi se le Università non avessero richiesto agli studenti di seguire un insieme di corsi in specialità accademiche diverse – discipline umanistiche, scienze sociali, belle arti, scienze fisiche e naturali – e di raggiungere un minimo di padronanza in almeno una lingua straniera. Vede, la ragione per cui i corsi di discipline umanistiche hanno un basso numero di iscritti non è perché gli studenti di oggi pretendano corsi più importanti, ma perché amministratori come lei e facoltà senza spina dorsale hanno smesso di imporre requisiti formativi generali ed iniziato a permettere agli studenti di scegliersi il proprio percorso – la qual cosa credo sia un totale sottrarsi, da parte di una facoltà universitaria, agli obblighi di insieme di docenti e mentori.   Lei potrebbe risolvere il problema delle iscrizioni dall’oggi al domani, istituendo un curriculum di base obbligatorio che includa un ampio spettro di corsi.  
I giovani, in genere, non sono ancora così avveduti da amministrare la libertà di scelta del propria formazione senza adottare decisioni inadeguate. In effetti, senza una certa dose di saggezza, il compito diventa difficile per gran parte degli individui. Questo concetto è definito con chiarezza assoluta, io penso, nell’apologo del Grande Inquisitore di Dostoyevsky, riportato al capitolo quinto del suo grande romanzo I fratelli Karamazov. Nel racconto, Cristo ritorna sulla terra, a Siviglia, al tempo dell’Inquisizione spagnola. Compie una serie di miracoli, ma viene arrestato dai capi dell’Inquisizione e condannato al rogo. Il Grande Inquisitore va a visitarlo nella sua cella e per dirgli che ormai la Chiesa non ha più bisogno di lui. Gran parte del testo consiste nella spiegazione del perché da parte dell’Inquisitore. Questi dice che Gesù sconfisse le tre tentazioni di Satana nel deserto per scegliere la libertà, ma ritiene che Gesù abbia giudicato male la natura umana. L’Inquisitore sostiene che gran parte del genere umano non è capace di usare propriamente la libertà. Nel dare agli uomini la libertà di scegliere, Cristo ha condannato l’umanità ad una vita di sofferenza.
Quel singolo capitolo di un lunghissimo romanzo è una delle più grandi pagine della letteratura moderna. Lei vi troverebbe moltissimo su cui riflettere. Sono certo che i componenti della sua facoltà di Lingua Russa avrebbero grande piacere a parlare con lei di quel capitolo – se solo lei avesse ancora un dipartimento di Lingua Russa, che adesso, ovviamente, non ha più.  
Vi è poi la questione dell’inerzia del potere legislativo che non le ha dato altra scelta. Sono certo che i problemi di budget con cui deve confrontarsi sono seri. Gli stessi che abbiamo all’Università di Brandeis, dove lavoro. Anche noi abbiamo affrontato difficili decisioni  strategiche perché le nostre entrate non erano più sufficienti a coprire le spese. Ma abbiamo evitato la vostra draconiana – e autoritaria – soluzione, ed una commissione della facoltà, con suggerimenti da tutte le altre componenti accademiche, è riuscita a formulare una proposta per fare di più con minori risorse. Non dico che le specificità della nostra ricetta sarebbero state adatte anche alla sua istituzione, ma la procedura sicuramente sì. Lei ha convocato un’assemblea generale, ma solo per discutere il suo piano, non per consentire all’Università di costruire una sua proposta. E lei ha convocato quell’incontro venerdì pomeriggio 1° ottobre, quando pochi studenti e pochi docenti erano in sede per partecipare. A sua discolpa, lei ha invocato la tempistica ‘sfavorevole’, scusandosi per la ‘limitata disponibilità di appropriate strutture per grandi eventi’. Trovo tutto ciò sconcertante. Se il presidente dell’Università di Brandeis avesse bisogno di un’aula da un momento all’altro, certamente ne rimedierebbe una. Arguisco che lei, invece, non deve avere gran peso nella sua Università.
Mi pare che la maniera con cui ha trattato la tutta faccenda sia stata la via più sicura per inimicarsi chiunque nella sua comunità. Al suo posto, avrei fatto qualsiasi cosa per evitare ciò. Avrei fatto di tutto per non finire nella nona Bolgia (un fossato nella pietra) dell’ottavo Cerchio dell’Inferno, dove Dante Alighieri, il sommo poeta del Trecento italiano, colloca i seminatori di discordia.  In quella fossa essi lottano per l’eternità contro un demone che orrendamente mozza loro le membra, proprio come in vita essi avevano seminato divisioni.
L’Inferno è il primo libro della Divina Commedia di Dante, uno dei massimi capolavori dell’immaginazione umana. C’è tanto da imparare in esso sulla debolezza e sulla follia umana. I docenti del suo dipartimento di Italiano sarebbero deliziati di introdurla ai numerosi prodigi letterari dell’opera – se solo lei avesse ancora un dipartimento di Lingua Italiana, che adesso, ovviamente, non ha più.   
E lei veramente pensa che anche quei docenti e quegli amministratori che oggi possono approvare la sua posizione dura (in parte, ne sono certo, per il sollievo di non essere stati  essi stessi gli artefici dei tagli) saranno in futuro ancora dala sua parte? Ricordo la favola di Esopo ‘I viandanti e l’orso’: due uomini camminavano insieme nel bosco, quand’ecco apparire innanzi ad essi un orso. Uno dei viandanti ebbe la fortuna di trovarsi davanti, afferrò il ramo di un albero, vi salì e restò nascosto tra le foglie. L’altro, essendo molto più indietro, si gettò al suolo come morto, col viso nella polvere. L’orso gli si avvicinò e col muso all’orecchio annusò, annusò a lungo. Ma alla fine, con un grugnito, si allontanò perché gli orsi non toccano la carne morta. Allora l’amico sull’albero discese verso il suo compagno e, ridendo, chiese “Cosa ti ha sussurrato l’orso?” “Mi ha detto – rispose l’altro – di non fidarmi degli amici che ti abbandonano nel pericolo.”
Ho studiato per la prima volta quella favola ed il suo importante insegnamento di vita in un corso introduttivo di cultura classica. Esopo ha scritto letteralmente centinaia di favole, gran parte delle quali sono gradevoli come quella ricordata – ed illuminanti. I suoi  docenti di Lettere Classiche sarebbero contentissimi di raccontargliele, se solo lei avesse ancora un dipartimento di Lettere Classiche, che adesso, ovviamente, non ha più.   
A proposito poi dell’argomento sulla scarsa remuneratività delle discipline classiche, beh, credo sia vero, ma credo che vi sia uno sbaglio nell’assumere che l’Università dovrebbe essere governata come un affare economico. Non dico che non necessiti di essere amministrata con prudenza, ma il concetto che ogni parte di essa debba essere autosufficiente è semplicemente in contrasto totale con ciò che deve essere l’Università. Sembra che lei dia molto più valore a programmi imprenditoriali e materie pratiche, che possano generare proprietà intellettuale, di quanto non dia a corsi di studio “antiquati”. Ma le Università non devono solo elaborare e capitalizzare nuova conoscenza; esse devono anche impedire che la conoscenza pregressa vada perduta, il che richiede un investimento finanziario.
Vi sono anche buone ragioni per tutto ciò: quanto ci appare arcaico oggi può risultare essenziale in futuro. Le darò un paio di esempi. Il primo è la disciplina della virologia che negli anni ’70 si stava estinguendo perché la gente era convinta che le malattie infettive non fossero più un problema serio nel mondo sviluppato, e che altre discipline come la biologia molecolare fossero più attraenti. Poi, agli inizi degli anni ’90, un piccolo problema chiamato AIDS divenne la preoccupazione numero uno per la salute pubblica mondiale. Il virus che causa l’AIDS fu isolato e caratterizzato per la prima volta al National Institutes of Health negli Stati Uniti e allo Institute Pasteur in Francia, perché queste erano state tra le poche istituzioni che ancora sviluppavano programmi di virologia.
Col mio secondo esempio, lei avrà probabilmente maggiore familiarità. Gli studi sul Medio-Oriente, compreso lo studio di lingue come l’arabo ed il persiano, erano poco diffusi, negli anni ’90, in gran parte dei campus universitari. Poi arrivò l’11 settembre 2001. Improvvisamente realizzammo che avevamo bisogno di molte più persone che comprendessero qualcosa di quella parte del mondo, specialmente per la cultura Musulmana. Le Università che avevano conservato dipartimenti di studi del Medio-Oriente, nonostante le iscrizioni in calo, divennero molto importanti, da un giorno all’altro. Quelle che li avevano chiusi …. beh, sono certo che adesso lei abbia compreso il messaggio.
So che uno dei suoi argomenti è che non tutte le sedi devono tentare di fare tutto. Lasciamo che altre istituzioni abbiano ottimi programmi di studio in Lettere Classiche o Arti Teatrali – lei dice – noi ci dedicheremo a preparare gli studenti per i lavori del mondo reale. Bene, credo di aver appena dimostrato che il mondo reale è alquanto mutevole rispetto alle necessità. Il miglior modo per essere preparati all’inevitabile shock da cambiamento è essere formati  nella maniera più ampia possibile, perché la cultura stagnante di oggi può diventare l’argomento caldo di domani. E la ricerca interdisciplinare, che fa così tendenza ai giorni nostri, è possibile solo se gli individui non hanno una formazione troppo settoriale. Se nessuna di queste ragioni la convince, posso accettare che lei trasformi la sua istituzione in qualcosa di focalizzato sulla pratica, a patto però che lei smetta di chiamarla Università e che continui a qualificarsi come Presidente di un’Università. Vede, la parola “università” deriva la latino universitas che significa “totalità”. Non si può essere un’Università senza avere un valido programma di formazione in discipline umanistiche. Diversamente, dovrà chiamare la SUNY di Albany una scuola di commercio, oppure un collegio vocazionale, ma non certo Università. Non più.
Mi rifiuto totalmente di credere che lei non avesse alternative. E’ suo compito, come Presidente, trovare modi per risolvere problemi senza ricorrere – per usare una metafora – all’amputazione di arti sani. Voltaire diceva che nessun problema può sopportare l’attacco di un pensiero prolungato. Voltaire, il cui vero nome era François-Marie Arouet, poteva sfoggiare una quantità notevole di detti incisivi, arguti e brillanti (il mio preferito è “Dio è un commediante che recita davanti ad una platea che ha paura di ridere”). Molto di quello che scrisse le sarebbe estremamente utile, se solo lei avesse ancora un dipartimento di Lingua Francese, che adesso, ovviamente, non ha più.   
Credo di non dovermi meravigliare se lei stenta a comprendere l’importanza del conservare programmi di formazione in materie senza attrattiva ed apparentemente “morte”. Dalla sua biografia traggo che lei non ha un Ph.D. o altro diploma superiore, e che non le è stato mai insegnato o non ha mai fatto ricerca all’Università. Forse la interesserà invece la mia formazione. Ho cominciato con un diploma di maturità classica. Sono adesso professore di chimica e biochimica. Di tutti i corsi che ho seguito al college ed al liceo, quelli da cui ho tratto il massimo del beneficio per la mia carriera scientifica sono stati i corsi in Lettere Classiche, Storia dell’Arte, Sociologia e Letteratura Inglese. Questi corsi non mi hanno solo dato la capacità di apprezzare la mia cultura, ma mi hanno insegnato a pensare, analizzare e scrivere chiaramente. Nessuno dei corsi scientifici che frequentato in seguito mi ha dato qualcosa del genere.
Una delle mie attività correnti è tenere una rubrica mensile di scienza e società. Sono circa 10 anni che vi scrivo e mi fa piacere dire che il pubblico sembra apprezzarla. Nel caso fossi riuscito a proporle riflessioni non superficiali, le assicuro che sono derivate dalla mia formazione umanistica e dal mio amore per le arti.
Uno degli argomenti di cui ho scritto è il modo con cui la genomica sta cambiando il mondo in cui viviamo. La nostra capacità di manipolare il genoma umano farà sorgere questioni piuttosto delicate per l’umanità nei prossimi anni, compresa la domanda di cosa significhi veramente essere un umano. Non è una domanda solo per la scienza; è una domanda cui si deve una risposta con contributi da ogni branca del sapere umano, comprese – specialmente – le discipline umanistiche e le arti. La scienza senza l’apporto della sensibilità e dello spirito umano è sterile, fredda ed egocentrica. E anche arida: alcune delle mie migliori idee scientifiche sono derivate da pensieri e letture su argomenti che, apparentemente, non hanno nulla a che vedere con la scienza. Se ho ragione rispetto al fatto che la definizione di umano sarà uno dei problemi cruciali del nostro tempo, allora le Università che sono più attrezzate per affrontare la questione, in tutti gli innumerevoli aspetti collegati, saranno le più importanti istituzioni per lo sviluppo e l’apprendimento di conoscenze avanzate in futuro. Lei si è appena assicurato che la sua Università non sarà tra quelle.
Alcuni dei suoi difensori hanno affermato che la sua mossa è stata solo un brillante stratagemma – un capolavoro di tattica politica teso a impressionare i legislatori per indurli a concedere alla SUNY di Albany risorse sufficienti per tenere aperti quei dipartimenti di cui annunciava la chiusura. Ciò sarebbe machiavellico – Machiavelli, appunto, un altro notevole scrittore italiano, ma lei non ha una facoltà di Italiano che l’informi al riguardo. Dubito, tuttavia, che lei sia così fine. Se lo fosse stato, avrebbe tenuto quell’assemblea generale quando e dove l’intero corpo accademico e tutta la stampa sarebbero potuti intervenire. Questo è il modo di forzare la mano ad un gruppo di politici.
No, credo che lei abbia solamente tentato di far quadrare il bilancio, a spese di quelli che lei ritiene dipartimenti deboli, obsoleti e senza potere. Penso che col tempo lei realizzerà di aver portato a termine un affare faustiano. Faust è il personaggio da cui prende il titolo un dramma di Johann Wolfgang von Goethe. Fu scritto attorno al 1800, ma in Germania attrae ancora, quando viene rappresentato,  un gran numero di spettatori, più ad ogni altro dramma. Faust è la storia di uno studioso che stabilisce un patto col diavolo. Che gli promette qualunque cosa voglia, finché sarà in vita. In cambio vorrà ……  sono certo che lei sappia come si risolve di solito questo tipo di patti. Se solo lei avesse ancora il dipartimento di Arti Teatrali, che adesso, ovviamente, non ha più, potrebbe chiedere di rappresentare il Faust, in modo da vedere come va a finire. Sarebbe davvero estremamente illuminante nella sua situazione. Vede, Goethe credeva che non servisse a niente avere il mondo intero in cambio della rinuncia alla propria anima. Il mondo intero, Presidente Philip, non semplicemente il rispetto del budget!   
Sebbene – le do atto – lei non abbia venduto la sua anima. Solo quella della sua Università. 
Irrispettosamente suo,

Gregory A. Petsko

 
                                                                                          
Gregory A. Petsko è il Gyula and Katica Tauber Professor of Biochemistry and Chemistry e cattedratico di biochimica alla Brandeis University.