venerdì 22 febbraio 2013

Assemblea in UniUD, mercoledì 20 marzo ore 17: Le domande da porre ad un Rettore

Assemblea dell’Università di Udine

Mercoledì 20 marzo 2013, ore 17 
Piazzale Kolbe 4, Udine  –   Aula A 
Le domande da porre ad un Rettore


Cari colleghi,
lo scorso 6 febbraio si è svolta l’assemblea della comunità accademica di Udine, sul tema “Tra progetti di federazione e segnali di dismissione della ricerca: costruire un impegno per l’Università”.  Come annunciato, all'assemblea ha partecipato il  Magnifico Rettore, accompagnata dal Delegato alla Ricerca, prof. Morgante. 

Dopo un’introduzione che ha riassunto il clima indotto  dalla pubblicistica denigratoria sull'Università  a fronte dei segnali di svuotamento dell’istituzione, del persistente sotto-finanziamento e delle percezioni di isolamento rispetto alle realtà locali, sono state presentate al Rettore le domande riguardanti le prospettive di federazione inter-ateneo  che avevano destato interrogativi sui riassetti organizzativi ed il diritto allo studio.
La risposta molta articolata del Rettore ha esaminato il quadro istituzionale dei finanziamenti all'Università di Udine a fronte degli impegni, evidenziando le criticità che giustificano le ipotesi federative.  In questa luce è emerso chiaramente il quadro riduttivo entro cui si muovono tutte le misure che definiscono le tappe della federazione.  Possiamo affermare che un progetto di federazione che si muova  in una cornice restrittiva come dal contesto descritto dal Rettore è solo da rifiutare in blocco.
La conclusione è dettata da una semplice convinzione: l’Università deve essere l’istituzione pubblica che promuove  e migliora la produzione e la trasmissione della scienza. 

Come documentato da evidenze schiaccianti sull'Università italiana,  nelle attuali condizioni di sostanziale sottodimensionamento, di esiguità della spesa universitaria pubblica rispetto al PIL, di livello qualitativo in termini di produzione scientifica e standard della formazione,  non possiamo accettare un piano teso solo ad un ridimensionamento riduttivo delle strutture esistenti. 
Si tratta una mossa, per il momento subdola,  per scardinare la consistenza e la qualità dell’Università italiana,  allo scopo di ridurne significativamente le dimensioni, favorendo nel contempo iniziative private, per una platea di utenti che dovrebbe divenire sempre più elitaria.
Il confronto sulle problematiche della federazione porta a concludere che qualsiasi iniziativa in tal senso si giustifica solo  se conduce ad un effettivo guadagno da parte di tutti  i federati. 

In termini concreti, questo significa che una federazione ha senso solo per migliorare, e migliorare, nella condizione attuale dell’Università italiana, significa aumentare le risorse perché gli sprechi che ci vengono addebitati sono solo faziose invenzioni a confronto dell’esiguità degli stanziamenti ricevuti. 
Non c’è bisogno di federazioni per individuare situazioni problematiche visto che queste possono essere riconosciute e corrette, secondo legge ed onestà intellettuale, dai singoli Atenei.
Questi temi saranno ancora centrali nel prossimo futuro e riteniamo debbano impegnare al confronto con la comunità universitaria il prossimo Rettore. 

Per questo vogliamo mettere a punto una serie precisa di quesiti da proporre ai candidati alla carica rettorale in sede di riunione plenaria  di presentazione
Per discutere ed elaborare questi quesiti proponiamo di tenere la prossima assemblea della comunità universitaria il 20 marzo 2013  (ore 17,  p.le Kolbe, aula A).




venerdì 8 febbraio 2013

In Assemblea condivisione della Compagno e dei presenti del bilancio sulla condizione dellUniversità e dell'Ateneo




















Per quelli che ritengono che i benefici dell'istruzione universitaria siano solo privati


Federconsumatori: UNIVERSITA' - Comunicato stampa del 31 gennaio



Università: diminuiscono i laureati e si blocca la mobilità sociale 

Negli ultimi 10 anni gli iscritti all’università sono diminuiti del 17%, mentre le tasse universitarie aumentano costantemente: addirittura +7% solo nell’ultimo anno (dati O.N.F. - Osservatorio Nazionale Federconsumatori).
I dati forniti dal Cun (consiglio Universitario nazionale) denunciano inequivocabilmente come sia stato leso, di fatto, il diritto allo studio, soprattutto delle famiglie meno abbienti e si sia bloccata la mobilità sociale.
Anche la contrazione dei docenti (-22%) conferma che il nostro Paese non investe più in sapere, innovazione e ricerca. 
Accanto alla fuga dei cervelli ormai si è consolidata l’idea che la laurea non garantisca più migliori possibilità lavorative. Del resto, il lavoro professionale è mal pagato: il reddito dei professionisti iscritti alla gestione separata INPS è di 16.555 euro lordi annui, in calo del 30% negli ultimi 5 anni (elaborazioni su dati INPS 2011).
 Tutto questo ci rende  inadempienti rispetto alle direttive europee, che chiedono agli Stati membri di investire sul futuro delle giovani generazioni garantendo l’accesso ai saperi e alle professioni e, soprattutto, mette il nostro Paese in grave difficoltà nella competizione internazionale.
Di fronte a questa situazione, dichiarano Federconsumatori e UdU, è necessario un piano straordinario che inverta una tendenza che sta diventando strutturale.
L'Italia è uno dei paesi in Europa con il minor tasso di laureati per abitante, questi dati ci dicono che la situazione peggiorerà drasticamente nei prossimi anni. Se il sistema Italia vuole uscire dalla peggior crisi economica della sua storia repubblicana, deve assolutamente ripartire dall'università e dai suoi giovani, ma senza investimenti e con soli tagli questo è impossibile.

http://www.federconsumatori.it/ShowDoc.asp?nid=20130131171708&t=

 






mercoledì 6 febbraio 2013

La follia burocratizzante impera con il DM 30.01.2013, n. 47

Consentitemi una domanda, ma il tempo che noi "impieghiamo" per soddisfare questi obblighi burocratici, riorganizzando i nostri corsi di laurea, come può essere calcolato nel bilancio "produttivo" del sistema universitario? 
La chiamano qualità ma adempiere al decreto ministeriale comporta, fare questa "roba" (Relazione di riesame, SUA) oltre al Rad (modello A, B1 e B2).
E' evidente che tutta questa attività per garantire l'offerta formativa AA per AA sottrae tempo alle attività per cui un Ateneo viene davvero valutato (didattica & ricerca): questo malus, da quale bonus è compensato?

"Se il controllo della qualità non è in sé una cattiva idea, lo stesso non si può dire del modo in cui il Ministero, basandosi sulle indicazioni dell’ANVUR, ha scelto di metterla in pratica. Annunciato da un comunicato stampa del Ministro, è infine uscito il D.M. 47 del 30/1/2013 che recepisce il documento sull’Autovalutazione, Valutazione periodica e Accreditamento (A.V.A.) di sedi universitarie e corsi di studio, diffuso dal ANVUR nel luglio scorso. 
L’obiettivo è ambizioso. Scrive il Ministro nel comunicato stampa: “Le attività di valutazione [...] dovranno verificare e accertare la qualità della didattica e della ricerca, dei corsi di laurea, dell’organizzazione delle sedi e dei corsi di studio, nonché la presenza e i requisiti delle strutture al servizio degli studenti, come le aule e le biblioteche, il resto degli strumenti didattici e tecnologici e, non ultimo, la sostenibilità economico-finanziaria dell’ateneo.” Per chi non sta alle regole la pena è capitale: “Il rispetto di tali requisiti sarà condizione necessaria per ricevere l’accreditamento iniziale.”  Gli atenei dovranno assicurarsi di rientrare nei parametri stabiliti dal Ministero per ricevere l’accreditamento iniziale (e quindi di poter rimanere aperti) entro il 4 marzo 2013: quattro settimane scarse!
Fra tutti i requisiti per l’accreditamento iniziale delle sedi richiesti dal D.M. 47 ci sono due vincoli quantitativi: uno è posto sulla quantità massima erogabile di didattica (misurata in ore di didattica erogata dai docenti), quello che nei documenti dell’ANVUR e nel D.M. 47 viene chiamato “indicatore DID”; l’altro concerne la numerosità massima degli studenti per corso di studio.  Entrambi i valori dipendono dal numero di docenti dell’ateneo. Vi è poi un terzo indicatore, riferito alla “sostenibilità economico/finanziaria” che rende più stringenti i requisiti per istituire nuovi corsi di studio. Gli altri requisiti si riferiscono alla struttura organizzativa e burocratica che gli atenei devono mettere in piedi per sostenere il processo di accreditamento. In questo articolo ci concentriamo sui requisiti quantitativi della didattica erogabile e della numerosità degli studenti, rimandando ad altra occasione l’esame delle procedure amministrativo-burocratiche richieste per l’accreditamento.

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sabato 2 febbraio 2013

Tra progetti di federazione e segnali di dismissione della ricerca: costruire un impegno per l’Università


Assemblea dell’Università di Udine
 
Mercoledì 6 febbraio 2013, ore 17

Piazzale Kolbe 4, Udine  –   Aula A

L’assemblea del 16 gennaio scorso,  indetta da CoUP sui temi riassunti nella comunicazione riportata in calce,  è stata un momento di riflessione produttivo, cui hanno partecipato numerosi colleghi docenti e amministrativi, alcuni responsabili delle organizzazioni studentesche ed alcuni rappresentanti politici.
L’assemblea ha condiviso e sviluppato le tesi proposte per stimolare una presa di coscienza fattiva. 

In particolare abbiamo sottolineato:
 

a) la totale strumentalità e falsità delle argomentazioni di molti influenti opinionisti di ispirazione neoliberale che trasversalmente insistono sulla necessità di un ridimensionamento del sistema universitario, teorizzando la separazione didattica-ricerca;
b) le incognite e i pericoli che il cammino verso modelli di atenei federati tuttora presenta, anche senza nessuna pregiudiziale contrarietà a riassetti organizzativi che prevedano federazioni di atenei;
c) le implicazioni della ristrutturazione e riduzione dell'offerta di formazione universitaria rispetto al diritto allo studio.
 

Il dibattito ha evidenziato ulteriori elementi di un quadro critico che si sta delineando per l’Ateneo di Udine, in particolare in relazione alla assenza di coinvolgimento della cittadinanza e degli organismi politici regionali, dei margini di manovra limitati dell’amministrazione comunale, della disattenzione e di interessi divergenti, quando non in competizione, del tessuto economico-imprenditoriale.
E’ emerso chiaramente che la rilevanza dei temi trattati impone di proseguire ed approfondire il dibattito avviato, auspicabilmente mediante un confronto diretto ed urgente con il Rettore che, manifestata la propria disponibilità all’incontro con la comunità accademica, ha poi precisato la data del prossimo 6 febbraio per una sua partecipazione.
Un’assemblea aperta a tutti è perciò convocata il giorno 6 febbraio 2013, alle ore 17 presso il polo Kolbe (Aula A, P.le Kolbe 4, Udine).

CoUP – Coordinamento per l’Università Pubblica – Udine


http://uniudpubblica.blogspot.it/



Convocazione precedente
Tra progetti di federazione e dismissione della ricerca: quale futuro per l'Università di Udine?
Nel quadro delle problematiche aperte dall’attuazione della riforma Gelmini, emerge la ragione vera alla base delle scelte di sottodimensionamento e sottofinanziamento dell’Università italiana che la riforma istituzionalizza e per cui predispone una governance fortemente accentrata nella figura dei rettori e dei direttori generali.
Il progetto di ridimensionamento del settore della formazione superiore e di progressivo svuotamento delle istituzioni accademiche pubbliche, corrispondente ad una netta limitazione del diritto allo studio, si delinea sempre più come piano di ridefinizione dei vari atenei in strutture rivolte alla sola didattica e strutture complete, dove la didattica sia affiancata anche dalla ricerca.
Questa scelta è totalmente sbagliata rispetto alle necessità del Paese e discende solo dalla politica di disimpegno complessivo e smantellamento dello stato sociale che viene perseguita nell’ottica dominante neoliberista.
Il piano di ridimensionamento della spesa pubblica per l’istruzione superiore va respinto. Come suggerito dai colleghi di ROARS (http://www.roars.it/online/universita-e-ricerca-prime-proposte-roars-per-una-discussione/), dobbiamo ricordare che:

1. l’Italia ha solo il 21% di laureati nella fascia 25-34 anni, occupando il 34-esimo posto su 37 nazioni;
2. l’Italia è solo trentunesima su 36 nazioni per quanto riguarda la spesa per educazione terziaria rapportata al PIL;
3. durante la crisi, mentre in 24 nazioni su 31 la spesa complessiva in formazione cresceva in rapporto al PIL, in Italia la spesa non solo è diminuita ma ha subito il calo più pesante di tutte le nazioni considerate ad eccezione dell’Estonia;
4. la spesa cumulativa per studente universitario è inferiore alla media OCSE e ci vede sedicesimi su 25 nazioni considerate;
5. le tasse universitarie sono tra le più alte in Europa: l’Italia è quarta dopo Regno Unito, Paesi Bassi e Portogallo.

In base a questi fatti il progetto da sostenere è completamente opposto a quello perseguito dalla riforma Gelmini e dalle politiche ad essa conseguenti. Le università non vanno smantellate, bensì potenziate. Le competenze scientifiche esistenti non vanno dismesse, bensì valorizzate. La dislocazione attuale delle sedi universitarie non è un problema, bensì una risorsa che va ampliata e articolata per qualificare ed innalzare il livello di formazione dei giovani. Questa prospettiva, infatti, è l’unica possibile per affrontare le difficoltà crescenti dell’economia globalizzata con gli strumenti di una competenza scientifica diffusa di alto livello.
Nel contesto dello svilimento complessivo delle strutture accademiche, l’Università di Udine sembra purtroppo destinata a diventare un polo satellite di una federazione veneto-friulana di atenei,  un polo destinato alla sola didattica o, al massimo, una sede didattica con qualche marginale attività di ricerca (biotecnologie agrarie?).
Anche senza nessuna pregiudiziale contrarietà a riassetti organizzativi che prevedano  federazioni di atenei, riteniamo necessario evitare quelle operazioni che, col pretesto della razionalizzazione amministrativa e dell’economia di scala, attuino solo ridimensionamenti netti delle strutture esistenti, compromettendo i loro livelli di incisività qualitativa e quantitativa. Vogliamo ribadire che la difesa delle attività scientifiche e delle professionalità che operano a Udine non muove da alcuna spinta localistica, ma riflette solo la ferma convinzione del ruolo centrale che la ricerca scientifica ha nell’istituzione accademica: l’Università ha senso solo se la didattica è strettamente legata alla ricerca.
Le competenze e la sviluppo di scuole in numerose e diverse aree scientifiche sono il patrimonio di oltre 30 anni di lavoro dei ricercatori udinesi, un patrimonio che non può essere dissipato perché, come l’Università pubblica, è un bene comune che ha bisogno solo di continuità.
L’Università di Udine trae la sua ragione d’essere da questa attività di ricerca scientifica e la stessa  città di Udine ne ha tratto e continua a trarne vivacità e stimoli. Per difendere tutto ciò, per discutere e trovare le strategie di un movimento, per focalizzare queste tematiche specifiche nel quadro più generale di una risposta alla riforma Gelmini, abbiamo indetto un’assemblea aperta a tutti  il 16 gennaio  2013, alle ore 17 presso il polo Kolbe (Aula A, P.le Kolbe 4, Udine).


venerdì 1 febbraio 2013

Diritti costituzionali calpestati: che sia oboleta la Costituzione o in mala fede chi giura e/o ha giurato sulla Costituzione ?


mfurfaro  
I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi. La Repubblica rende effettivo questo diritto con borse di studio, assegni alle famiglie ed altre provvidenze, che devono essere attribuite per concorso”. Articolo 34 della Costituzione italiana.

MARCO FURFARO – Nell’Italia dei Professori non abbiamo più studenti

 Un articolo che non viene rispettato, anzi. Ma che dà luogo a un’illusione collettiva per una generazione cresciuta e formatasi grazie alle fatiche dei propri genitori: quelli che vedevano il conseguimento della laurea per i figli come il biglietto vincente per l’entrata nel mercato del lavoro, quelli per cui loro avrebbero dovuto avere una vita più serena, un lavoro migliore del loro. Niente di tutto questo.

Nel paese in cui si parla di merito, a sproposito, da circa vent’anni, uno studente su quattro non ottiene la borsa di studio nonostante l’abbia vinta. Questo perché l’Italia è l’unico paese Ocse in cui esiste l’insopportabile figura dello “studente idoneo non beneficiario”: studenti che hanno vinto la borsa, per le condizioni economiche (svantaggiate) della propria famiglia e perché in pari con gli esami (il merito), ma che gli viene negata per mancanza di fondi. Qualcosa di incostituzionale, a leggere sopra, ma che sembra interessare molto poco la classe dirigente di questo paese. A coloro cui la borsa viene erogata non va molto meglio: nel Lazio, per esempio, l’Azienda regionale per il diritto allo studio ha concesso la borsa in molti casi con ben due anni di ritardo.
Anche per questo diminuiscono le immatricolazioni all’università. Perché non c’è solo la precarietà di una generazione, c’è la povertà che imperversa, il lavoro che manca e che restringe le possibilità di accedere agli studi formativi, di pagarsi l’Università, un affitto e tutto i costi di un soggetto in formazione.
Negli ultimi dieci anni, gli immatricolati sono scesi da 338.482 (anno accademico 2003-2004) a 280.144 (2011-2012), con un calo di 58.000 studenti (-17%). Come abbondantemente scritto in queste ore, è come se in un decennio fosse scomparso un intero ateneo di grandi dimensioni, ad esempio la Statale di Milano.

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