martedì 8 ottobre 2013

Era ora, ecco i primi segnali di una inversione di tentenza


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Le attività dei vari governi degli ultimi anni sono state un susseguirsi di interventi finalizzati il più delle volte a rispondere a qualche emergenza. Sociale. Finanziaria. Industriale. Giuridica. Abbiamo visto tanti mezzi senza capire quali fossero i fini ultimi. I risultati, infatti, non sembrano così entusiasmanti. Tanto che la posizione del nostro Paese non è affatto migliorata. In termini di crescita, tra i grandi Paesi europei siamo fanalino di coda. Segno che quando i mezzi lavorano in presenza di fini discordanti o, addirittura, in assenza di fini sono questi ultimi a essere giustificati dai mezzi e non il contrario come vorrebbe il comune sentire dal Principe in poi.
Prendiamo l'università. Nel 2010 è stata approvata una legge di riforma che nei tre anni successivi tutti gli atenei hanno adottato in applicazione di oltre 40 decreti attuativi. I fini della riforma erano da principio chiari: adoperarsi per l'autonomia responsabile, liberare dai vincoli gli atenei particolarmente virtuosi, favorire i processi di apertura internazionale e, non da ultimo, dare più risorse a chi meglio ne fa uso.
Peccato che l'uso dei tanti mezzi in applicazione della riforma (decreti, correzioni legislative, circolari ministeriali, disposizioni in materia di finanziamento) abbiano finito per offuscare i fini per i quali la riforma era stata proposta. Gli atenei sono oggi meno autonomi, meno differenziati, meno liberi in materia di reclutamento e meno finanziati. I fini sembrano scomparsi e riaffiorano quando le classifiche internazionali collocano l'Italia lontano dai posti di testa: questo diventerebbe il fine ultimo, la scalata delle classifiche.

Pensiamo al discorso di Cagliari del Santo Padre. Papa Francesco dice che le università sono luogo di discernimento, di cultura della prossimità e di formazione alla solidarietà. Un luogo fisico quindi in cui i giovani apprendono la lettura critica del mondo e sono educati alla relazione con gli altri secondo principi solidaristici. Questa visione ci riporta ai fini, siano essi o meno condivisi, e non più solo ai mezzi. L'università come luogo di formazione delle coscienze prima ancora che di trasmissione sic et sempliciter del sapere.
La lezione del Papa è un'ottima occasione per riprendere il filo che porta al fine e non si occupa solo del mezzo. Servono le università in un Paese? È giusto che vi accedano tutti coloro che lo desiderano? È opportuno che si confrontino in termini quantitativi e qualitativi con quelle di altri Paesi? È opportuno che competano come squadre indipendenti o è opportuno che creino anche un tessuto connettivo comune pur nelle diversità? Sono interrogativi suscitati dalle riflessioni del vescovo di Roma che riportano al giusto indirizzo anche i mezzi che poi vengono utilizzati. Chi deve ascoltare queste parole? In primo luogo il legislatore che in questi anni mentre decantava l'autonomia, la riduceva sempre più, per virtuosi e non. Mentre sosteneva la necessità di dare più risorse ai meritevoli, tagliava i finanziamenti a tutti. Mentre sosteneva nei principi il diritto allo studio, lo decapitava nei fatti riducendone gli interventi. Ma il messaggio va anche agli accademici, professori e rettori.

Dobbiamo ritornare ai fini e aggiustare i mezzi. È anche questo il senso della recente lettera inviata al presidente del Consiglio e alla ministra dell'Università dalla Conferenza dei rettori. Il fine di motivare al miglioramento deve trovare nel premio e nell'autonomia il giusto incentivo. E il fine di non lasciare fuori dalla porta i giovani deve portare a interventi che almeno contengano la fuga verso altri Paesi o l'abbandono, tanto degli studenti quanto dei ricercatori.
Il presidente del Consiglio Letta nel suo recente discorso in Parlamento è stato su questi temi esplicito. Il Paese necessita riposte, ha detto, e fra queste «le risposte che passano per ulteriori investimenti seri nella scuola, nella ricerca, nella cultura e nell'università». A nome di tutta la comunità accademica ci aspettiamo che questo trovi concretezza già a partire dalla legge di Stabilità. Affinché il fine preceda i mezzi senza che i mezzi decidano il fine. Diversamente, saremo portati alla fine, questa sì, dell'università.

Presidente Crui

 

3 commenti:

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