sabato 14 maggio 2011
Il dovere della responsabilità
Le prossime decisioni sulle modifiche statutarie richieste dall’entrata in vigore della riforma Gelmini sono essenziali per il futuro dell’Università. In particolare le scelte cruciali sono quelle che riguardano:
i) la democrazia della rappresentanza negli organi di governo universitari
ii) la composizione, il profilo ed il numero dei membri esterni del CdA
iii) la centralità dei dipartimenti.
Al riguardo, Iniziativa Petizione ha promosso una raccolta di adesioni a 3 principi fondamentali
- per tutelare la democrazia della rappresentanza,
- per introdurre una netta limitazione del numero di esterni in CdA,
- per difendere la centralità dei dipartimenti,
Da questi principi discendono 12 proposte pratiche da recepire nelle modifiche di Statuto in corso di definizione. Come più volte precisato, l’adesione non implica la condivisione assoluta e totale delle 12 proposte, per ciascuna delle quali formulazioni alternative possono essere concepite e proposte alla considerazione della Commissione Statuto. L’adesione implica, invece, la condivisione assoluta e totale dei 3 principi guida, che non può non implicare un consenso di massima su tutte o parte delle proposte.
Iniziativa Petizione intende richiamare tutti al dovere della responsabilità, alla necessità, cioè, di esprimere una partecipazione individuale attiva e non l’acquiescenza che caratterizza troppi tra noi. Abbiamo il dovere di interrogarci sulla situazione che si prospetta per l’Università qualora nel nuovo Statuto si realizzassero scelte in contrasto con i 3 principi predetti.
Oltre alle argomentazioni legate al valore della rappresentanza democratica negli organi di governo, rispetto a designazioni arbitrarie o basate su automatismi discutibili che ridurrebbero il margine di controllo dal basso sugli indirizzi di governo, oltre alle ragioni di salvaguardia dell’indipendenza dell’Università e dell’etica pubblica che spingono a rifiutare immissioni massicce di personaggi designati dalla politica nel CdA, la scommessa più significativa si gioca sulla rivendicazione della centralità dei dipartimenti.
La legge Gelmini contiene una serie innumerevole di criticità che ci costringono a proporre soluzioni solo per limitarne la conseguenze negative. Per un punto, tuttavia, la legge recepisce un orientamento progressivo per il sistema universitario. Questo punto è la centralità dei dipartimenti per le funzioni collegate a ricerca, didattica e relazioni con l’esterno. Il tentativo in atto è quello di sottrarre ai dipartimenti queste funzioni, attribuendole, di fatto, a strutture di raccordo tra dipartimenti che possono diventare centri direzionali ristretti, peggiori anche delle abolite facoltà dove nessuno rispondeva ‘in solido’ per le scelte compiute in nome dei soli appetiti di gruppi di potere contrapposti, sia per le chiamate che per la programmazione dei corsi di studio.
Le scelte di un dipartimento, invece, dovrebbero essere determinate da criteri molto più stringenti di valore scientifico e didattico, sia delle persone che dei corsi, in forza della penalizzazione diretta che deriverebbe per le conseguenze di programmazioni qualitativamente discutibili.
Non siamo così ingenui da credere che basti solo la centralità dei dipartimenti per risanare i guasti del sistema universitario italiano, ma certamente il sistema non si correggerà se a tirare le fila saranno ancora le solite lobby, agevolate, addirittura, dall’istituzione di organismi più agili delle facoltà come le strutture di raccordo con diritto di veto sulla programmazione dei dipartimenti.
Il primo banco di prova saranno le misure che si annunciano per gli avanzamenti di carriera, vale a dire i concorsi di abilitazione scientifica nazionale e le procedure locali per le chiamate. Con tempismo da manuale, mentre il ministro evoca l’elaborazione di “ulteriori criteri di qualificazione didattica e scientifica” perché gli abilitati possano ricoprire le posizioni vacanti nelle varie sedi (lettera del 4/5/2011 riportata in questo blog), uno dei più noti maitre a penser dell’Accademia italiana, Alessandro Figà Talamanca, comincia a dire che lo sforzo del governo per far partire la riforma sarà prosciugato dalla promozione dei 15000-20000 ricercatori che avranno conseguito l’abilitazione, bloccando così i nuovi ingressi e premiando, anche con i fondi del previsto massiccio pensionamento, quei settori scientifico-disciplinari che avranno abilitato più ricercatori (Il Riformista, 4/5/2011).
Vi è una notevole assonanza tra le tesi del ministro e le preoccupazioni di Figà Talamanca, anche se apparentemente le argomentazioni appaiono diverse. Pare diano per scontato che tutto si svolgerà come una sanatoria (analoga a quella degli assistenti degli anni ’80?). Forse qualche criterio in più potrà evitare che i ricercatori assorbano tutte le risorse, ma alla fine, sia il ministro che Figà Talamanca stanno preparando il terreno alla solita soluzione all’italiana. Quella che si risolverà in un’altra ‘infornata’, quella che ancora una volta mortificherà l’Università, che porrà le basi perché i problemi si acuiscano sempre più per la mancanza di continuità di ricambio del personale della ricerca.
Invece di riconoscere che il vero problema dell’accademia italiana è la disparità di distribuzione delle fasce d’età per i vari ruoli, conseguenza di immissioni selvagge e discontinue tra gli inizi degli anni '80 e la fine degli anni ’90, che è necessario premiare il merito documentato sia dei ricercatori che degli associati, che è essenziale programmare un’immissione costante di nuove forze per i prossimi anni, il ministro ed i suoi pubblicisti si preoccupano essenzialmente di moderare un pò gli appetiti, dando per scontato che la riforma universitaria si risolverà, per gran parte, con una promozione di massa dei ricercatori che servirà a rabbonire una platea eterogenea di bravi e mezze tacche.
Ma è questo ciò che è necessario all’Università italiana per cambiare, per correggersi, per migliorare? Dobbiamo continuare a muoverci come le pecore di un gregge sotto la guida di pochi pastori che governano ciascuno la propria porzione di gregge attraverso il controllo degli SSD? O non è forse venuta l’ora di cominciare a fare sviluppare il dinamismo scientifico, il rendimento didattico e la propositività dei dipartimenti che sanno meglio mettere a frutto le competenze di cui sono popolati? Anche con l’onestà intellettuale di riconoscere il merito quando c’è, ma negare gli automatismi populistici che fanno solo male a tutto il sistema!
Non ci illudiamo che una gestione dal basso, come quella dei dipartimenti, sia necessariamente la panacea. Purtroppo vi potranno essere, e vi saranno, errori e guasti, ma l’onestà intellettuale di buona parte degli universitari italiani almeno avrà la possibilità di contare di più e, quanto più il sistema si emenderà, tanto meno vi sarà spazio per i furbi.
La centralità dei dipartimenti è una sfida che dobbiamo accettare fino in fondo, per la quale è necessario battersi per il dovere della responsabilità che ciascuno deve avere verso l’Università, un’istituzione per la quale la riforma Gelmini e tutta la politica governativa preparano ridimensionamento ed inaridimento progressivo. Che andranno di pari passo con il declino del Paese. Per evitare questa prospettiva non basterà la sola mobilitazione dell’Università, sarà necessaria anche la società civile, ma il nostro coinvolgimento è essenziale.
Iniziativa Petizione chiede a tutti i colleghi una riflessione responsabile per sottoscrivere le proposte formulate, affinché le modifiche di Statuto recepiscano la tutela della rappresentanza democratica negli organi di governo, la limitazione dei membri esterni in CdA e la difesa della centralità dei dipartimenti.
Un numero consistente di adesioni non potrà essere ignorato.
Iniziativa Petizione
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Confesso che ho molti dubbi sul contenuto di quanto ho ricevuto.
RispondiEliminaA fronte di osservazioni del tutto condivisibili (mi riferisco alle considerazioni sul rischio di un ulteriore depauperamento del mondo accademico che avverrebbe con la sostanziale promozione di tutti i ricercatori), alcune posizioni mi paiono francamente da respingere (ad esempio non comprendo perchè demonizzare la presenza di estranei nei consigli di amministrazione posto che l'ambiente accademico oggi esprime molta mediocrità e solo immissioni dall'esterno possono promuovere efficienza e competitività - semmai porrei requisiti molto stringenti sotto il profilo della professionalità e della provenienza). Altre osservazioni non sono in grado di valutare (ad esempio non comprendo l'importanza del ruolo del dipartimento, anche se non sono affatto contrario nè scettico).
Il punto è che l'Università italiana nel suo complesso non è più competitiva e che l'industria e l'economia, per approvigionarsi di soluzioni internazionalmente significative in ogni campo (nell'ingegneria, nell'economia e nello stesso diritto), si rivolgono, esclusi alcuni limitati casi (come nel caso dei Politecnici di Milano e Torino e della Bocconi), all'estero. Se, come sistema della ricerca vi sono criticità evidenti,occorre mettere mano ad alcune riforme che la legge Gelmini solo in parte affronta e che si tratta di verificare quanto possano essere risolte con la redazione degli Statuti o con l'intervento delle Regioni.
- le università devono evitare il generalismo (specie nel caso di università piccole): occorre che l'università investa in ricerca ed in didattica con un focus particolare per cercare di raggiungere l'eccellenza in quello specifico settore (e sul risultato vengono valutati i vertici e modulato il compenso del personale docente e non);
- internazionalizzare la ricerca e la didattica: non solo corsi in inglese e francese, ma specialmente docenti stranieri o giovani italiani di ritorno;
- meno docenti e molto meglio pagati. E' indecoroso che gli stipendi dei docenti siano così bassi. Questo sistema induce solo i giovani migliori a optare per carriere diverse risultando l'accademia il luogo per i peggiori o per quanti non trovano altra occupazione. Così come, anche fra i docenti, quanti hanno qualcosa da dire, per finanziare le loro ricerche, si rivolgono al privato o all'estero;
- diversa modalità per il finanziamento della ricerca. Finanziare la ricerca che produce eccellenza reale. Molti più fondi alla ricerca davvero di eccellenza ed internazionalmente riconosciuta (quindi tagliare o azzerare i fondi di ricerca in almeno l'80 per cento dei casi).
- Ovviamente ridurre drasticamente i corsi.
- E indipensabile capire il ruolo delle regioni. E cioè se vi siano spazi ex art.117 C., in un panorama come quello odierno, per le Regioni che volessero promuovere efficienza nella ricerca.
Sono solo alcune considerazioni.