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martedì 31 dicembre 2013

In Facebook il messaggio di fine anno della Ministra Carrozza


L'anno che sta finendo ha segnato molti cambiamenti per me, con emozioni contrastanti, dalla delusione per il risultato delle elezioni politiche alla soddisfazione di giurare da Ministro di fronte al nostro Presidente della Repubblica.


Ho ereditato un ministero che negli ultimi anni ha subito tagli pesantissimi ed è stato visto solo come un centro di spesa invece che una risorsa per i giovani e per tutto il nostro Paese. Con il Governo Letta abbiamo orgogliosamente avviato fin da subito una netta inversione di tendenza: stop ai tagli, si torna ad investire. E abbiamo iniziato da uno dei capitoli che mi stanno più a cuore, l'edilizia scolastica:450 milioni di euro con il Decreto del Fare, ai quali si è aggiunta la possibilità per le Regioni di stipulare mutui agevolati ed infine, nell'ultimo Consiglio dei ministri, altre risorse provenienti dai fondi strutturali. 

Per la prima volta dopo anni abbiamo varato un pacchetto di misure destinate esclusivamente all'istruzione, con il decreto L'Istruzione riparte. 450 milioni di euro a regime per il diritto allo studio universitario, il wireless nelle scuole, agevolazioni per i trasporti, il comodato d'uso per i libri, l'assunzione di più d 26mila insegnanti di sostegno, l'orientamento, la lotta alla dispersione scolastica, la formazione dei docenti, gli istituti musicali. E anche per l'università, grazie alle scelte fatte quest'anno, nel 2014 le risorse aumenteranno rispetto all'anno precedente.
Si dirà che non è sufficiente, che le nostre scuole, i nostri atenei e la nostra ricerca hanno bisogno di maggiore attenzione, maggiori finanziamenti, ma questo governo ha ricominciato un cammino. E soprattutto crediamo che investire in istruzione sia una scelta strategica per il futuro dell'Italia.
Nel 2014 affronteremo altre sfide: partirà la Costituente della scuola, una grande opportunità per tornare a discutere di politiche per l'istruzione e fissare i nostri obiettivi coinvolgendo tutta la società. 

Nei primi mesi dell'anno avvieremo anche la revisione del sistema di finanziamento delle nostre università per renderlo più semplice e più giusto, e presenteremo il nuovo Piano nazionale della Ricerca, che punterà soprattutto sui nostri giovani ricercatori, premiando la loro indipendenza.
Abbiamo ancora molto da fare, ma stiamo andando nella giusta direzione. Buon 2014!




 Il CoUP continuerà a entrare nel merito di quanto anticipato:
- Costituente della Scuola ?
- "Nuovo" sistema di finanziamento Università ?
- Piano Nazionale della Ricerca 2014 ? 
- Giusta direzione?


L'anno che ci stiamo lasciando alle spalle è stato difficile e pesante ed è. 
E' un nostro diritto chiedere e voler costruire un "Paese normale" dove ci siano sviluppo economico, posti di lavoro per i giovani, una maggiore produttività del sistema pubblico e privato, una fiscalità più equa, certezze per chi perde il posto di lavoro, una riduzione del debito pubblico, un più proficuo impiego delle risorse destinate al sociale, all'istruzione, all'università, alla ricerca e all'innovazione. Vogliamo un "Paese normale" dove il cittadino senta vicini i politici/amministatori e dove quest'ultimi si occupino con onestà e competenza dei veri problemi.

giovedì 31 ottobre 2013

BASTA CHIACCHIERE, E' NECESSARIO ARCHIVIARE LA LEGGE 240/2010 CON SCELTE DI SVILUPPO A MEDIO E LUNGO TERMINE


L’intervista di Alberto Beltrami sulle difficoltà del corso di laurea in Medicina di Udine, nei giorni scorsi in risalto sulla stampa locale, muove da un disagio effettivo, ma è, a nostro avviso, anche viziata da una certa parzialità. 

Se è vero che le notazioni sulla precarietà del sostegno finanziario e logistico alle strutture di ricerca, sulla vera e propria decimazione del personale docente in atto da anni nel silenzio più unanime di tutto l’apparato, sull’assenza di prospettive per i giovani ricercatori, sono denunce assolutamente doverose e legittime, che possono solo essere sottoscritte, ed è un bene che vengano portate all’attenzione dell’opinione pubblica, è altrettanto vero che porre l’accento sulla mancanza di un docente di malattie infettive, o su un pediatra di contrabbando perché preso in prestito, o su un urologo che non arriva, nonostante la dipartita verso lidi parlamentari nientemeno che di Gigli (che peraltro è un neurologo), denota una visione tutta centrata sul polo medico, che oscura la drammaticità altrettanto rilevante della situazione universitaria generale, non solo udinese. 

Le preoccupazioni espresse dal prof. Beltrami vanno estese a tutto il mondo della formazione e della ricerca universitaria italiana. 

Bisogna richiamare l’attenzione di tutti sulla gravità dell’operazione in atto, sancita con la riforma Gelmini, che istituzionalizza la riduzione di oltre il 20% del budget per l’Università italiana, la precarizzazione dei ricercatori, la verticizzazione del governo accademico e l’affidamento del potere decisionale ai soli CdA.
 

Bisogna denunciare la mistificazione che da anni si compie sulla stampa italiana ai danni dell’Università pubblica, presentata come un’associazione di baroni dediti alla vessazione dei loro sottoposti, con un numero esorbitante di sedi, corsi di laurea e iscritti, una scarsa qualità di insegnamento, un alto costo di gestione. Fermo restando che non si difende nessuno d’ufficio e che per gli episodi di malcostume la competenza è solo della magistratura, gli addebiti della pubblicistica rampante degli economisti neoliberali sono stati ripetutamente confutati, dimostrando che spesso si tratta di falsità confezionate ad arte (cfr. www.roars.it). 

Bisogna protestare puntualmente contro chi denigra pubblicamente la qualità della ricerca universitaria italiana e la qualità della preparazione impartita dall’Università italiana nel suo complesso, perché sia la ricerca che la preparazione media nei fatti non sono per nulla inferiori agli standard internazionali. 

Bisogna contestare l’idea che le università pubbliche debbano essere chiuse o accorpate. Al contrario, per assicurare il diritto allo studio, le università esistenti vanno potenziate per risolvere le criticità, come imposto dalla necessità di aumentare il numero di laureati e dalle dimensioni del Paese, che per crescere deve innalzare il suo livello di conoscenza. 

Queste idee sono state messe al centro in una serie di incontri e dibattiti svoltisi ripetutamene nelle aule universitarie di Udine. Dei quali, tuttavia, non c’è stata alcuna traccia nei resoconti della stampa locale. Il vero problema, però, non è nella mancanza di pubblicizzazione di quelle iniziative. Il problema ancora oggi è che, andando avanti così, il nostro Paese si avvia a rinunciare completamente alla sua cultura scientifica perché lentamente l’Università viene minata, svilita e svuotata da una politica ignorante e senza scrupoli.
 

Forse proporre all’opinione pubblica una riflessione in questi termini può essere necessario, non si tratta di allarmismo. Il dramma, perciò, non è solo per il pediatra, l’infettivologo o l’urologo che non ci sono, ma anche per il geografo in via di estinzione, il chimico fisico non sostituito, il musicologo mai visto, il cromatografo rotto e non riparato, lo spettrometro vecchio di venticinque anni non ammodernato, ecc. 

Con l’elenco dei problemi, però, la soluzione che se ne prospetta non può prescindere da una critica complessiva alle scelte di sviluppo socio-economico che hanno condotto alla situazione presente, perché il problema dell’Università è solo un aspetto della realtà che si è prodotta negli ultimi anni. Scelte di sviluppo socio-economico che appaiono ancora una volta confermate da una classe di politici semplicemente sconcertante. Ancora oggi, tutti d’accordo nel governo delle larghe intese, non si trova altra soluzione che riproporre ricette economiche che privilegiano la tutela della finanza bancaria, la protezione di una massa di imprenditori responsabili dello smantellamento industriale, la difesa ad oltranza dei grandi patrimoni e l’accanimento dell’imposizione indiretta, la contrazione progressiva dei servizi pubblici.
 

In questo panorama si dibattono anche le istituzioni accademiche, ma è chiaro che la soluzione dei problemi non può cominciare reclamando misure per l’Università. C’è bisogno di un progetto per la società che prefiguri scelte di sviluppo futuro da costruire con una politica economica di respiro almeno ventennale. 

Coordinamento per l’Università Pubblica




venerdì 25 ottobre 2013

Il ministro Carrozza "vola alto" e si illude che bastino le parole


Vorrei che la politica economica del futuro si basasse sulla politica per l'istruzione: istruzione, cultura e tutela dell'ambiente, nell'ambito di una politica sostenibile, devono essere i pilastri per il risveglio e il rilancio del nostro paese. Nel corso del mio viaggio per l'Italia non ho visto solo scuole e università ma anche la Certosa di Calci, la Reggia di Caserta e tanti altri monumenti e musei. L'esempio della Certosa di Calci, che contiene all'interno un museo della scienza aperto a tutti gli studenti di ordine e grado e un museo nazionale gestito dai beni culturali, ci indica che dobbiamo lavorare per affiancare istruzione e cultura in un'unica azione di rilancio del nostro patrimonio culturale, artistico e intellettuale. Per questo ho accolto come uno stimolo e un incentivo a continuare il discorso di ieri del Governatore Visco, che ringrazio per aver coraggiosamente parlato di scuola e istruzione in un momento difficile come questo, senza distruggere ma costruendo una base per la discussione.
 

Serve una vera alleanza tra gli Enti locali e il ministero dell'Istruzione per rimettere al centro del dibattito il tema della scuola. I sindaci, i comuni, i dirigenti scolastici - come ho detto oggi a Firenze all'Assemblea dell'Anci - devono essere le nostre antenne sul territorio, per dare ai ragazzi non solo e non tanto un certificato, ma vere competenze per riuscire a trovare una strada e un futuro in una società sempre più difficile e competitiva.
Oggi l'istruzione rischia di diventare per alcuni un bene di lusso e non possiamo permettercelo. Il Paese non può permettersi di avere ancora aree in cui il tasso di dispersione scolastica è drammatico, non possiamo e non dobbiamo lasciare indietro interi territori. Penso che come Ministro il mio ruolo sia di sostenere chi è in grado di andare avanti più velocemente ma fare di tutto perché chi fa più fatica non venga abbandonato. La scuola e l'istruzione devono tornare ad essere il vero ascensore sociale di questo Paese.


Video del discorso del Ministro Carrozza


martedì 27 agosto 2013

Le polemiche servono per sviare il vero problema: bisogna "archiviare" la Legge 240/2010


A proposito dell'assurda proposta di chiudere alcune Università (Bari, Messina, Urbino) formulata dal giornalista Giavazzi del "Corriere della sera", che è un'ulteriore prova della strategia portata avanti negli ultimi anni dalla destra più becera, dalla lega, dalla confindustria e con il più o meno tacito assenso della CRUI (conferenza dei rettori): disintegrare la Scuola e l'Unversità pubblica.
Il vero problema è questa assurda, sciagurata e disastrosa legge 240/2010, tristemente nota come "legge GELMINI", e la politica economica dei poteri forti che vedono nel pubblico una voce di costo e non un doveroso investimento sulle generazioni future.
Non bisogna dimenticare che in 20 anni l’unica vera riforma strutturale fatta dai vari governi Berlusconi è stata proprio quella sull’Università, cosa ci dovevamo aspettare? 

Per cui dispiace che i media non si occupino di quello che sta accadendo nelle Università, o se ne occupino solo per episodi futili e marginali capaci di fare notizia.

Vero è che il nostro Paese avrebbe avuto bisogno di una riforma universitaria, chi lavora nell'Università lo sa bene, ma, una vera Riforma, non questa riforma! 
Alcune delle ricadute negative delle nuove norme erano state previste in largo anticipo, prima dell'entrata in vigore della legge, ma la situazione odierna è ancora più amara, complessa e senbra prioprio senza vie di uscita
Una situazione che condanna l'Università e la Ricerca italiana ad un oscuro periodo di ulteriore decadenza, e la Scuola non è messa meglio. 
Paradossalmente la così detta "riforma" aggrava proprio i mali che da sempre affliggono l'università italiana: 
- danni strutturali determinati dalla scomparsa delle Facoltà (tradizione secolare, a loro posto i macrodipartimenti ingestibili e incontrollabili); 
- rafforzamento delle lobby di potere interno che fanno capo a poche figure (Rettore, direttori di dipartimento, consiglieri del Consiglio di amministrazione, Direttore generale); 
- incremento di una burocrazia ottusa e dissennata; 
- ordinamenti didattici e corsi di laurea a volte astrusi; 
- il personale docente e il personale amministrativo fuori dai giochi allo sbando e senza controllo (dopo un anno dall'entrata in vigore dei nuovi Statuti d'Ateneo c’è ancora una grande confusione e disservizi a diversi livelli); 
- mancanza cronica di finanziamenti, dove i pochi finanziamenti vanno sempre agli stessi gruppi (incredibile a dirsi); 
- il blocco del turnover e la "fuga" dei docenti verso la pensione hanno creato vuoti incolmabili e condizionamenti all'offerta didattica che non trovano giustificazione logica anche se l'introduzione di procedure di Qualità con l'Accreditamento dei Corsi di studio, avrebbe potuto far ben sperare
- la valutazione delle università mediante i parametri dell'ANVUR (Agenzia Nazionale di Valutazione del Sistema Universitario e della Ricerca), dopo anni di tagli indiscriminati e puntando ad analizzare dati parziali e non sempre certi, fotografa una situazione non sempre veritiera e che fa acqua da tutte le parti; 
-  le procedure in corso per abilitare i nuovi docenti universitari per i prossimi anni sono astruse e probabilmente comporteranno una valanga di ricorsi con relativo blocco delle abilitazioni, con perdite economiche difficilmente quantificabili, tutto resterà bloccato anche perché non è difficile immaginare che molte Università non avranno i finanziamenti necessarie per assumere i docenti abilitati; 
- il taglio indiscriminato dei finanziamenti per il diritto allo studio, tanto che in alcune regioni i migliori studenti che non hanno possibilità economiche non potranno continuare gli studi;
- il dibattere sull'opportunità di togliere il "valore legale" del titolo di studio e di introdurre modelli di finanziamento  "d'onere" mediati acriticamente dagli USA, dove si sono rilevati essere forrieri di gravi problemi finanziari e sociali.
Tutto quanto descritto, se non si interrompe la spirale perversa avviata da una Legge sbagliata (L.240/2010), inevitabilmente determinerà un'ulteriore e progressiva diminuzione della qualità della didattica e della ricerca, basta aspettare qualche anno.
I primi segnali sono sotto gli occhi di tutti: calo degli iscritti e calo dei laureati, ma un'altra cosa grave è la diminuzione della qualità dei laureati, in parte confermata dalla difficoltà ad entrare nel mondo del lavoro. 
Questo è quello che sta accadendo nelle università italiane.
La situazione è gravissima perché è in gioco il futuro delle prossime generazioni e dell'Italia stessa. 
La politica si dovrebbe fare carico di tutto ciò e con essa la pubblica opinione più responsabile.  
La "riforma Gelmini" non è emendabile, bisognerebbe  rottamarla e al più presto.  
Sicuramente con il governo Letta questo è impossibile perché tra le tante emergenze, purtroppo, i problemi dell'università non sono una priorità.  
Non dobbiamo rassegnarci ma essere consapevoli che ci terremo ancora, non si sa per quanto tempo, questa sciagurata "riforma" che ci trascinerà in una palude di inefficienza, disuguaglianza e arretratezza.
Non è con la disinformazione che ci si costruisce un futuro economico e sociale del nostro Paese.
 
PS: 
Si ritiene opportuno aggiunge la segnalazione di ROARS a un articolo del New York Times che ben chiarisce di cosa stiamo parlando. Clicca qui  
 

sabato 1 giugno 2013

Al passo con i tempi in un contesto che cambia alla scuola e università il compito di sostenere il tutto senza risorse umane ed economiche adeguate

Il governatore della Banca d'Italia a gamba tesa: è urgente ridurre le tasse, ma anche contrastare la mancanza di lavoro; addio alle vecchie professioni, largo ad una formazione professionale che copra un'intera vita lavorativa fatta di mobilità e cambiamento. A scuola e università il compito di sostenere il tutto. Gli studenti: ripensare il welfare.

Fanno clamore le parole del governatore della Banca d'Italia Ignazio Visco, che il 31 maggio, nel corso dell'Assemblea Annuale ha chiesto di rilanciare il Paese attuando il prima possibile “un sistema di riforme efficaci e lungimiranti”. Visco ha spiegato che è necessario, in particolare, puntare su tagli selettivi, ma anche applicare la riduzione del carico che tartassa il lavoro. Perché è la mancanza di lavoro la spina nel fianco del nostro sistema e la piaga che affligge in particolare i più giovani.

“Non siamo stati capaci di rispondere agli straordinari cambiamenti geopolitici, tecnologici e demografici degli ultimi 25 anni”, ha detto il governatore. E ancora: “in molti casi, varate le riforme, hanno tardato, talvolta ancora mancano, i provvedimenti attuativi; non sono cambiati i comportamenti dell'amministrazione. E' un tratto ricorrente dell'esperienza storica del nostro Paese: le principali difficoltà non risiedono tanto nel contenuto delle norme, quanto nella loro concreta applicazione”.

Largo, quindi, ad una adeguata "riduzioni di imposte (…) privilegiando il lavoro e la produzione". Per poi anche specificare che "il cuneo fiscale che grava sul lavoro frena l'occupazione e l'attività d'impresa".
E il “fuoco” di Visco è puntato soprattutto sui giovani per il cui ingresso e permanenza da occupati nel mondo del lavoro "vanno poste le condizioni per sfruttare appieno strumenti e agevolazioni già previsti dal nostro ordinamento". Nella stessa giornata, forse non a caso, vengono pubblicatigli ultimi dati Istat sui tassi di disoccupazione: dal 2007 il numero di chi cerca lavoro è di fatto raddoppiato, attestandosi all'11,7% (sono oltre 3 milioni) lo scorso marzo e attorno al 40% tra i più giovani.

Ed a loro che Visco dedica la parte finale del suo intervento. Il mondo del lavoro, d'altra parte, vede ormai la progressiva scomparsa di vecchie professioni e "negli anni a venire i giovani – ha ricordato il governatore della Banca d’Italia - non potranno semplicemente contare di rimpiazzare i più anziani nel loro posto di lavoro". Alla luce di queste considerazioni Visco chiede che siano assicurate le condizioni per la nascita e crescita di nuove imprese e generare nuove opportunità di impiego.
In particolare, in un mondo del lavoro ormai percorso da caratteristiche nuove, secondo il governatore "la formazione professionale andrà sviluppata per coprire un'intera vita lavorativa caratterizzata dalla mobilità e dal cambiamento, da tutelare con rafforzati sistemi di protezione e assicurazione, pubblici e privati, nei periodi di inattività". A scuola e università spetterà quindi il compito di sostenere questo processo garantendo un'istruzione adeguata per qualità e quantità, "mirando con decisione ad accrescere il livelli di apprendimento e a sviluppare nuove competenze".
Le parole di Visco sono, a ben vedere, in linea con quelle pronunciate a fine marzo, a commento della “fotografia” impietosa Istat-Cnel sull’avanzare della disoccupazione tra i giovani italiani. Negli ultimi 5 anni, aveva evidenziato il governatore, "il tasso disoccupazione giovanile è sceso molto di più che per le persone più adulte. Quando c'è' una recessione - ha proseguito - ci dovrebbe essere la tendenza a investire di più in formazione e istruzione ma ci vogliono le risorse e la percezione che questo serva. La percezione non c'è - ha riconosciuto Visco - questo spiega il 28 per cento di giovani disoccupati al nord e il 40 per cento al sud. Quello che è mancato è stata una forte domanda di ricerca di conoscenza". Il problema, insomma, rimane sempre quello.

A sostenerlo sono anche gli studenti, secondo cui i dati Istat odierni hanno evidenziato “come la disoccupazione giovanile sfiori i 42 punti percentuali, con un aumento esorbitante nell'ultimo anno. “Il Governo Letta – dice Federico Del Giudice, portavoce nazionale della Rete della Conoscenza - continua, come avevano fatto i predecessori, a dire che la priorità sono i giovani e la disoccupazione giovanile. I fatti dimostrano il contrario, visto che le politiche fin ora attuate dall'Esecutivo parlano solo di contentini ai vari partiti della maggioranza mentre negli ultimi anni sono stati smantellati i sistemi di welfare e di istruzione e è stato ulteriormente precarizzato il mondo del lavoro". Secondo il portavoce dell’associazione studentesca “è necessario ripensare il welfare introducendo in Italia forme di Reddito, specialmente il Reddito di Formazione che possa guidare i giovani dal percorso di formazione al mondo del lavoro”.

mercoledì 8 maggio 2013

ELEZIONI RETTORE UNIUD (8 maggio 2013)

Elezioni Rettore

risultati prima votazione, quorum richiesto 363 

De Toni:    327 
Pascolo:      75 
Sechi:       166 
bianche      25. 

Nessun eletto al primo turno, ma con questi numeri De Toni è eletto la prossima volta.

Comunque vada a Lui, o ad altro candidato che risulti eletto, vanno i nostri complimenti ma, anche la nostra viva e vibrante preoccupazione per la situazione di grave crisi in cui versa l'Ateneo e l'intero sistema dell'Istruzione, l'Università e la Ricerca nel nostro Paese. 
A nostro avviso siamo in una situazione senza prospettive se si insiste pervicacemente con l'approccio neoliberista che ha dominato la "riforma".
Come noto, il CoUP privilegia il modello di una Università intesa come luogo di produzione, sviluppo e trasmissione della conoscenza, per il progresso ed il miglioramento della società umana, e come patrimonio istituzionale di carattere pubblico, cioé appartenente ed accessibile all’intera società, secondo i principi della Costituzione repubblicana. 




domenica 2 dicembre 2012

Non si può assistere inerti ad una situazione così insostenibile.

Una controriforma che soffoca l'università
APERTURA - Antonio Cavaliere
Eliminare la figura del ricercatore a tempo indeterminato è come immaginare un'università di soli professori, un'amministrazione pubblica fatta di soli dirigenti o un giornale fatto di soli direttori. Così dilaga la precarietà e la fuga dei cervelli
Tra i guasti della riforma Gelmini dell'Università - e delle contestuali politiche di tagli della spesa pubblica -, quello forse più grave tocca le vite di tanti giovani che della ricerca e della didattica universitaria hanno fatto il loro impegno di studi.
La riforma, come è noto agli addetti ai lavori, ha eliminato la figura del ricercatore a tempo indeterminato, sostituendola con quella del ricercatore precario, a tempo determinato. Contestualmente, la logica dei tagli di spesa ha comportato continue riduzioni del fondo di finanziamento universitario - l'ultima è quella pianificata dal cosiddetto governo dei «tecnici» -: con la conseguenza che è sempre più difficile assumere nuovi professori. Non si dica, quindi, che l'abolizione della figura del ricercatore a tempo indeterminato consegue l'obiettivo di «democratizzare» l'Università assumendo tutti nel ruolo dei professori; perché non sono state poste le condizioni strutturali per questo, ma per il contrario, cioè per un sostanziale blocco delle assunzioni. Oltretutto, quell'obiettivo, ammesso che lo si volesse davvero raggiungere, sarebbe già di per sé irragionevole, perché immaginare un'Università di soli professori è come immaginare un'amministrazione pubblica fatta solo di dirigenti, un giornale fatto solo di direttori, e così via: cioè un'organizzazione del lavoro priva di ruoli diversificati. E comunque, se ciò che sta a cuore dei riformatori fosse veramente la libertà del ricercatore, certamente non gioverebbe alla stessa l'aver ridotto i ricercatori, prima stabili, a precari! Il solo vero risultato dell'abolizione del ricercatore a tempo indeterminato è stato quello di aver tolto a giovani studiosi maturi per quel ruolo la possibilità di conseguirlo stabilmente.
I tagli fanno sì che al pensionamento di molti docenti corrisponda l'impossibilità di un ricambio generazionale nell'Università pubblica; e ciò rende sempre più difficile lo stesso svolgimento dei compiti didattici e di ricerca da parte dei docenti, spingendo inesorabilmente gli Atenei verso l'adozione del numero chiuso e, quindi, verso la limitazione del diritto allo studio universitario. Con il risultato di favorire gli interessi privati delle Università private, magari telematiche, dei veri diplomifici sovente di alto costo e pessima qualità.
In tale contesto, suona davvero come una presa in giro l'aver bandito recentemente un concorso nazionale per l'abilitazione alla docenza, laddove non vi saranno i fondi per assumere i docenti; si consideri che già oggi non sono pochissimi i professori che, pur vincitori di concorso, non possono essere assunti dalle Università per mancanza di risorse. E pensare che, secondo i dati ministeriali, sono decine di migliaia gli aspiranti alla prossima abilitazione, ovvero alla disoccupazione!
Ma ciò che più lascia sgomenti è la desertificazione dell'Università dai giovani cervelli che l'infausta riforma - avallata anche dal centrosinistra «democratico» - e la sua pedissequa attuazione da parte dei politicissimi «tecnici» recano con sé. Da sempre l'Università si regge sul lavoro precario e spesso gratuito di giovani cultori della materia; ebbene, per loro la riforma, la sua attuazione «tecnica» e la contestuale politica di tagli lineari, anziché porre fine ad un tale intollerabile stato di cose, hanno significato soltanto più precarietà e gratuità, fino a sancire nei fatti ciò che si dichiara con inquietante cinismo, cioè l'essere un'intera generazione di giovani ormai «perduta».
Di questa generazione perduta fa parte, ad esempio, il cultore della materia al quale non si può dare più un contratto per le attività didattiche integrative che svolge: inizialmente, perché la riforma Gelmini escludeva coloro che non avessero già un reddito di almeno 40.000 euro (avete letto bene, quarantamila annui; nessun neolaureato li guadagna, e se li guadagnasse non avrebbe certo bisogno di un contratto!), e ora, semplicemente, perché non ci sono i fondi. C'è, poi, il dottorando senza borsa - si tratta di circa un terzo dei dottorandi - che, per il suo lavoro di ricerca e di aiuto alla didattica, non solo non riceve un euro, ma deve pagare fino a duemila euro l'anno di tasse d'iscrizione; c'è il dottore di ricerca, che dopo aver investito tre anni e più nell'Università si trova drammaticamente senza sbocchi e per giunta, sostanzialmente, senza la possibilità di spendere altrove il titolo conseguito; e c'è colui che, dopo il dottorato, ha continuato a lavorare nell'Università, magari ricevendo per qualche tempo una retribuzione precaria - assegni di ricerca, borse postdottorato - ed ora, dopo lustri, dico lustri, di lavoro si vede disperatamente precluso un futuro lavorativo.
La conseguenza di tutto ciò è che un professore, ormai, quando si vede davanti un neolaureato promettente e con la passione per la ricerca, se ha un minimo di senso di responsabilità deve prospettargli realisticamente una graticola di un decennio - se va tutto bene! - vissuta precariamente e magari a proprie spese, e, quindi, deve consigliargli di cercare altrove il riconoscimento delle proprie capacità. Con il risultato contrario all'interesse dell'Università e della ricerca: quello della fuga dei cervelli.
E non si pensi che coloro che resisteranno alle frustrazioni del precariato e tenteranno l'abilitazione siano selezionati, con la riforma, secondo criteri di merito! Le farraginose procedure di selezione, frettolosamente e confusamente approntate dalle burocrazie del ministero Profumo, fanno infatti leva sul criterio della quantità di pubblicazioni; bisogna superare la «mediana» per concorrere all'abilitazione. Dunque, pubblicare molto, anche a discapito della qualità; spezzettare i lavori, fare in fretta pur di fare numero: ecco un altro meccanismo «criminogeno», distruttivo della vera ricerca, che richiede naturalmente tempo ed approfondimento. Ma questo sarebbe un altro, lungo discorso.
Non si può assistere inerti ad una situazione così insostenibile. Occorre una mobilitazione dell'intero mondo accademico e della società civile, che esiga una vera e propria rivoluzione copernicana delle recenti politiche dell'Università, per restituire ai giovani studiosi e, quindi, alla didattica e alla ricerca stesse, un futuro.



sabato 17 novembre 2012

La Redazione di Roars festeggia il primo anno di attività


La Redazione di ROARS festeggia un anno memorabile alla vigilia del primo convegno svoltosi a Roma mercoledì 14 novembre.
In un anno a Redazione di ROARS ha cercato di offrire contributi utili per una discussione aperta e documentata sulla politica dell’università e della ricerca, sui temi della valutazione, della scientometria e della bibliometria.

Per iscriversi a Roars Review vai qui

 

lunedì 12 novembre 2012

domenica 11 novembre 2012

Nota del CUN al Ministro Profumo in cui si chiede vengano reintegrati 400 milioni di euro sottratti al Fondo Finanziamento Ordinario 2013 delle Università

Al Sig. Ministro
Prof. Francesco Profumo

Oggetto: Ulteriori provvedimenti di riduzione delle risorse destinate al FFO 2013. Le preoccupazioni e le richieste del Consiglio Universitario Nazionale.

Adunanza del 7/11/2012

IL CONSIGLIO UNIVERSITARIO NAZIONALE
ribadendo le preoccupazioni più volte espresse negli anni passati, in merito ai gravi rischi che, da tempo, compromettono la competitività europea e internazionale del Sistema Universitario, conseguenti alle norme che ne riducono costantemente e significativamente, le risorse economiche;
nel ricordare che il Sistema Universitario e della Ricerca ha da sempre inteso contribuire al contenimento della spesa pubblica e che tuttavia le risorse finanziarie ad esso assegnate sono investimenti per lo sviluppo della ricerca scientifica e dell’alta formazione, fattori strategici per la qualificazione e il potenziamento del ruolo assolto dall’Italia in ambito internazionale, come più volte ricordato dal Sign. Presidente della Repubblica;

GIUDICA

particolarmente allarmante la previsione di un’ulteriore riduzione di 400 milioni di Euro a carico del Fondo di Finanziamento Ordinario 2013, condividendo perciò le medesime istanze poste a contenuto della mozione CRUI del 25 ottobre 2012;

DENUNCIA

che tale riduzione al finanziamento complessivo del Sistema genera una situazione di crisi irreversibile, condizionando negativamente la capacità degli Atenei di attivare processi di riorganizzazione e di gestione delle proprie risorse, anche umane, a fronte di spese fisse non riducibili nel breve termine, fino a metterne a rischio le prospettive di funzionamento e sviluppo;

CHIEDE

al Governo e al Parlamento di reintegrare i 400 milioni di EURO e di ripristinare il FFO 2013 almeno al livello del 2012.

giovedì 8 novembre 2012

Considerazioni del mattino (8 novembre 2012)



Questa mattina mi sono svegliata e ho ripensato al concerto di ieri sera di Vinicio Capossela e alle facce dei musicisti greci che suonano con lui il rebetiko, la musica che si canta insieme come un coro ma si balla da soli. 

Così ha detto Capossela, ricordando che poche ore prima ad Atene c'erano stati scontri tra manifestanti e la polizia perché il parlamento ha approvato altri tagli per 13 miliardi e mezzo. 
Cioè meno pensioni e più licenziamenti. 
Era la condizione per accedere a 31 miliardi di aiuti della Troika. Allora mi è venuta in mente un'intervista all'uomo che l'anno prossimo sfiderà Angela Merkel per la guida della Germania. Si chiama Peer Steinbrueck, ha 65 anni ed è già stato Ministro delle Finanze nel governo di grande coalizione. Secondo lui la Cancelliera si è fatta coinvolgere dai tedeschi in una politica di rancore verso il sud dell'Europa. 
Una politica che ci condanna alla depressione. 
Chiedetelo ai greci che con l'austerità finora hanno raccolto il Pil a meno 20% e la disoccupazione al 25. 
Il rebetiko è una musica ribelle, in cui si canta il desiderio per qualcosa che non c'è. 
Così leggo in un'intervista a Capossela. 
Steinbrueck invece dice che vuole un'alleanza con i Verdi e che non pensa nemmeno al caso in cui dalle urne non uscisse questa maggioranza, che lui si occupa solo dello scenario che desidera perché tutto il resto distrae. 
E allora mi è venuto in mente quel pezzo di Vinicio in cui c'è un pugile che le dà e un poveraccio che le prende. 
E ho pensato che è proprio così: la vita per qualcuno è ok ma per altri è ko.

mercoledì 7 novembre 2012

"Grazie a tutti, il meglio deve ancora venire"





















"Il meglio deve ancora venire”, “torno alla Casa Bianca più forte e ispirato che mai”: cosi’ il presidente Barack Obama si è rivolto ai 10mila sostenitori osannanti sul palco del McCormick Place di Chicago per celebrare la sua rielezione. 
Avete fatto sentire la vostra voce e avete fatto la differenza ...,

Ricordiamocelo tutti i giorni anche nel nostro piccolo e cerchiamo di unirci in un coro che faccia la differenza in Ateneo, in Regione, in Italia e in Europa.


ASSEMBLEA APERTA A TUTTO IL PERSONALE UNIVERSITARIO
28 NOVEMBRE 2012 , ore 17.00  
AULA A – Piazzale KOLBE, 4 – Udine

CoUP di Udine

Cari colleghi,

dopo l’entrata in vigore della Legge 240/2010 e le, concitate per certi versi, tappe iniziali di attuazione (formulazione e revisione dello Statuto, nuova articolazione dell’Amministrazione centrale d’Ateneo, elezione dei rappresentanti al Senato Accademico e formazione del CdA, disattivazione delle Facoltà), siamo entrati nel vivo dell’attuazione dei meccanismi di attivazione dei Dipartimenti con funzioni didattiche nonchè delle Scuole, di accreditamento dei Corsi di studio e il bando per le idoneità, con la pubblicazione dei criteri, per le valutazioni, per le commissioni, ecc.

Si impone la necessità di aprire un dibattito sui meccanismi della “riforma”, sulle conseguenze che nei fatti avranno alcune scelte di principio per la stessa esistenza dell’istituzione universitaria pubblica, sulle modalità di progressione di carriera e riconoscimento di competenza rispetto ai modelli di sviluppo delle piante organiche adottati, sull’assenza di interventi e dibattito per un rimodellamento strutturale degli ordinamenti didattici, sulla politica di sottofinanziamento sistematico dell’università, della ricerca e della pubblica istruzione in generale che si continua a perseguire in questo Paese, indipendentemente dai governi in carica, sulle scelte locali di governo e di finanziamento del nostro Ateneo.

Il Coordinamento per l’Università Pubblica (CoUP) di Udine promuove quindi un’assemblea dei docenti (professori ordinari, associati e aggregati, ricercatori a tempo indeterminato e determinato, lettori), aperta comunque a tutto il personale universitario, per il giorno 28 novembre 2012, alle ore 17.00 presso l’aula A del polo Kolbe (P.le Kolbe, 4), allo scopo di aprire una riflessione complessiva sulla situazione accademica e verificare l’opportunità di sollecitare in ogni sede un ripensamento profondo dell’assetto complessivo dell’Università italiana, così come determinato da una "riforma" che, per molti versi, pone le basi di un lento ma inesorabile smantellamento dell’istituzione universitaria pubblica.
 


ASSEMBLEA APERTA A TUTTO IL PERSONALE UNIVERSITARIO

28 NOVEMBRE 2012 , ore 17.00  
AULA A – Piazzale KOLBE, 4 – Udine

CoUP di Udine
 
 

giovedì 25 ottobre 2012

SU LA TESTA RICOMICIO DA TE

LINK: proposte concrete

 
 "Le stesse università di Oxford e di Cambridge, che a detta di Adamo Smith erano corrotte e inefficienti, si rinnovarono ed ebbe inizio quello sviluppo che ora tutti conoscono. 
Fu un piccolo gruppo di Puritani (quarantadue) che nel 1620 s’imbarcò sulla nave «Mayflower» per andare in America, nel New England, per trovare la libertà (in patria erano perseguitati).
Fondarono una comunità che escludeva ogni vincolo feudale per le terre e dava preminenza alla cultura (ne parlano a lungo Smith e Tocqueville). 
Senza i Puritani, gli Stati Uniti non sarebbero oggi quello che sono, compresa la forza militare, che è prodotta dalla cultura. (Ciò non toglie che l’America di Bush non mi piace affatto, ma non durerà.) 
Il New England condizionò in seguito lo sviluppo del Nord degli Stati Uniti, mentre nel Sud andarono – com’era la regola nelle colonie – gli avventurieri, per far soldi prima con le miniere e poi con le produzioni tropicali, dove impiegarono largamente gli schiavi neri.
L’esempio inglese dei Puritani può rincuorarci?
Sì, se però ci rendiamo conto che ci dovremo dare da fare con grande impegno e a lungo, per uscire dall’abisso di abiezione in cui siamo precipitati. 
In Italia un substrato di civiltà esiste: in alcune categorie sociali, specialmente tra i contadini medi e fra certi strati di operai e di piccoli imprenditori, ci sono persone che possono aiutare la ripresa. 
Occorrono però gli intellettuali: in tutti i paesi ci sono i servi, gli opportunisti e gli intellettuali che si espongono. 
Questi ultimi da noi sono assai più rari che nei paesi civili. 
La speranza è che, man mano che lo stato di abiezione in cui oggi ci troviamo diviene evidente a tutti, cresca il numero degli intellettuali disposti a rischiare, e che si facciano vivi, dopo aver tanto sofferto, tutti coloro che, nella politica e nella società civile, si oppongono a Berlusconi e ai berlusconiani di ogni tendenza: solo così potremo riprendere il cammino dell’incivilimento."

Paolo Sylos Labini

 


giovedì 18 ottobre 2012

Dal 15 al 21 ottobre...una settimana per il reddito garantito!

Nel giugno scorso un'ampia coalizione di associazioni, reti sociali, partiti, movimenti, comitati, collettivi ha lanciato la campagna per un reddito minimo garantito in Italia. Una campagna nata intorno ad una proposta di legge di iniziativa popolare che intende istituire anche nel nostro Paese una garanzia per il reddito per coloro che sono precari, disoccupati e inoccupati, oggi soprattutto giovani, donne e Working Poor.
Una campagna che vuole rilanciare quelle fondamenta di un modello sociale europeo che le politiche neoliberiste hanno minato, per un Welfare universale che garantisca misure di sostegno alle persone, per rilanciare politiche di redistribuzione delle ricchezze e mettere al centro del dibattito politico le garanzie, i diritti, le libertà di scelta delle persone.

La proposta di legge di iniziativa popolare per il reddito minimo garantito in Italia lanciata a giugno (e che continua a raccogliere adesioni e sostegno) terminerà a dicembre: l'obiettivo minimo è raggiungere almeno 50 mila, ma si può fare di più! Raccogliere migliaia e migliaia di firme significa dare un segnale politico e sociale importantissimo, sia alla società che alla politica italiana. Ma non solo: questa campagna rende possibile l'opportunità di discutere di reddito e diritti, di parlare alla società, nelle strade, piazze, università, luoghi di lavoro, con i giovani, le donne, i precari, gli studenti. In poche parole, una grande opportunità di comunicazione e iniziativa sociale che dia maggior forza ad una nuova stagione di diritti a partire dal reddito garantito.

Per questo, oltre le tante iniziative già realizzate durante questi mesi e promosse dai partecipanti alla campagna, riteniamo importante proporre la realizzazione di un evento comune: "LA SETTIMANA PER IL REDDITO GARANTITO" dal 15 al 21 ottobre.

http://www.redditogarantito.it/
Video prodotto da European Alternatives.
Illustrato da Sara Tarquini, motion graphic e animazione di Riccardo Chiara. Musiche di David Fanfano.
Scritto e diretto da Severine Lenglet, Cecilia Anesi e Giulio Rubino, con la supervisione di Alessandro Valera, Lorenzo Marsili e Niccolo Milanese.


Per vedere il video clicca QUI

lunedì 15 ottobre 2012

LINK A ROARS - LETTERA APERTA PER LA RICERCA


Illustre Presidente Napolitano, 
Illustre Ministro e Collega Profumo,

l’emergenza economico-finanziaria che ha colpito buona parte del mondo occidentale e che sta producendo danni gravissimi sulla stabilità socio-economica dei Paesi coinvolti, Italia inclusa, richiede una riflessione profonda su alcuni elementi strutturali che oggi rappresentano l’ostacolo principale al recupero della nostra competitività. 

Tra questi elementi c’è senza alcun dubbio la scelta di un “modello di sviluppo senza ricerca” perseguito negli ultimi 30-40 anni: ci hanno assistito, a fronte di questa sostanziale assenza, fattori di complemento come la svalutazione, il basso costo del lavoro, alcune eccellenze manifatturiere, etc., che oggi non sono più in grado di sostenerci.

Da molti anni, anche grazie al Suo convinto sostegno, Presidente Napolitano, e molto spesso con la Sua adesione, Ministro Profumo, abbiamo chiesto a gran voce un sostanziale cambiamento di strategia negli investimenti e nella cultura del Paese a favore del sistema ricerca e innovazione.

Abbiamo denunciato l’inadeguatezza dei parametri strutturali di questo settore che conta un numero di ricercatori, raffrontato al numero totale di lavoratori italiani, di circa la metà rispetto alla media europea; un’irrisoria percentuale di PIL dedicata; una caratterizzazione del sistema industriale, tanto rispetto alla specializzazione produttiva quanto rispetto alla misura aziendale, poco compatibile con gli investimenti in ricerca. Abbiamo ritenuto nostra responsabilità coinvolgere le Istituzioni del Paese e offrire la nostra piena disponibilità a collaborare per trasformare questi elementi strutturali.

Per proseguire la lettura clicca QUI