Per ripartire dall'istruzione pubblica e dal diritto allo studio
sabato 31 dicembre 2011
lunedì 26 dicembre 2011
Omaggio a Giorgio Bocca
Messaggio di Giorgio Bocca letto durante la
manifestazione a Milano il 25 aprile 2008
Secondo alcuni revisionisti, come il senatore Pera, l’antifascismo è da archiviare tra i robivecchi, e la Resistenza, un mito inventato dai comunisti. Insomma, quelli che come me erano in montagna dall’otto settembre del ’43, e che il diciannove di quel mese erano con Duccio Galimberti a Boves incendiata dalle SS del maggiore Peiper, stavano in un mito. Quarantacinquemila partigiani caduti, ventimila feriti o mutilati, uno dei più forti movimenti di resistenza d’Europa, gli operai e i contadini per la prima volta partecipi di una guerra popolare senza cartolina di precetto, una formazione partigiana in ogni valle alpina o appenninica: ecco che sessantacinque anni dopo dei professorini e dei diffamatori, ci avvertono che era tutta un’invenzione, una favola, un mito. Ma quel mito non se lo sono inventati dei propagandisti politici, quel mito è nato dai fatti di cui parlano le lapidi e i monumenti in ogni Provincia italiana.
La distinzione tra l’antifascismo e la democrazia è una falsa distinzione. Assistiamo a un revisionismo l’antifascismo e la democrazia è una falsa distinzione.
Assistiamo a un reazionario che apre la strada a una democrazia autoritaria. Non a caso, nel presente, la globalizzazione economica è un ritorno al colonialismo, con cui l’antifascismo dello stato sociale, delle riforme democratiche, non ha nulla da spartire. C’è stata una mutazione capitalistica, una rivoluzione tecnologica per cui i ricchi sono sempre più ricchi, i poveri sempre più poveri ed emarginati.
Questa è la vera ragione per cui la Resistenza e l’antifascismo appaiono sempre più sgraditi, sempre più fastidiosi al nuovo potere.
Padroni arroganti e impazienti non accettano più una legge uguale per tutti, la legge se la fabbricano ad personam.
Così è riapparso il ventre molle del paese, l’eterno qualunquismo che la Resistenza aveva combattuto. Ma siamo ancora qui a ricordare come sono andate le cose nel periodo più nero e umiliante della nostra storia. A ricordare quell’alta pagina di solidarietà e di civile dignità, che si chiama Resistenza.
"in Italia c'è ancora molto fascismo, per quello che bisogna essere ora e sempre ANTIFASCISTI."
domenica 25 dicembre 2011
giovedì 15 dicembre 2011
Documento unitario - ESTREMA CRITICITA' DELL'UNIVERSITA' PUBBLICA ITALIANA
ADI, ADU, ANDU, CISL-Università, CNRU, CNU, CoNPAss, FLC-CGIL, RETE29Aprile, SNALS-Docenti Universita, SUN, UDU, UGL-Università, UIL-RUA,
USB-Pubblico impiego
Le Organizzazioni e Associazioni
universitarie denunciano lo stato di estrema criticità in cui versa
l'Università italiana.
Questa situazione sarebbe
destinata a diventare ancora più grave per l'Università pubblica statale se si
dovesse proseguire nella politica dei progressivi e costanti tagli al
finanziamento dell'Università, nella drastica riduzione del diritto allo studio,
nell'aumento a dismisura del numero dei precari con l'espulsione di quelli
attuali, nella differenziazione tra gli Atenei (atenei di ricerca e
insegnamento e atenei di solo insegnamento), nella cancellazione della
partecipazione democratica alla gestione degli Atenei, nell'annullamento della
rappresentanza democratica del Sistema nazionale universitario, nel blocco
della carriera e della retribuzione dei docenti.
L'opposizione del mondo
universitario alla Legge 240/10 esprimeva tutte queste preoccupazioni, assieme
alla convinzione che i suoi contenuti e i tempi di attuazione, sommati ai
pesanti tagli al finanziamento (diversamente da quanto accade negli altri
Paesi), avrebbero portato alla paralisi degli Atenei, così come, purtroppo, sta
avvenendo. Peraltro, nelle more dell'attuazione della Legge, il processo di
lentissima approvazione degli statuti e il ritardo nella emanazione dei più
importanti decreti attuativi accentuano una condizione di blocco che pesa
prevalentemente sulle retribuzioni, i diritti, le carriere del personale
universitario e lascia gli studenti nell'incertezza dell'offerta formativa per
i prossimi anni.
Da parte loro, le Organizzazioni e
Associazioni universitarie - convinte che il Paese abbia bisogno di una
Università pubblica, autonoma, democratica, di qualità e aperta a tutti – hanno
denunciato da tempo quanto stava accadendo e, in particolare:
- l'ulteriore divaricazione fra
pochi Atenei 'eccellenti' e tutti gli altri;
-
la scarsa considerazione
delle esigenze della ricerca;
- il ridimensionamento della
già ridotta autonomia degli Atenei;
- lo snaturamento del diritto
allo studio, con la drastica riduzione dei fondi ad esso destinati, il
tentativo di tagliare a migliaia di studenti idonei la borsa di studio e
l'introduzione dei prestiti d'onore e di altri strumenti di indebitamento.
- il drastico ridimensionamento
dei docenti di ruolo, con la costituzione di una 'base' amplissima di precari,
senza reali prospettive di accesso alla docenza;
- le conseguenze della messa ad
esaurimento dei ricercatori, senza neppure il riconoscimento del ruolo docente,
senza adeguati sbocchi e con una diminuzione della retribuzione rispetto a
quella degli ordinari;
- lo svilimento della figura
dell'associato, trasformata in affollata fascia d'ingresso alla docenza, senza
prospettive di carriera e con una diminuzione della retribuzione rispetto a
quella degli ordinari;
- il ridimensionamento del
ruolo del personale tecnico-amministrativo.
Ma oltre ai contenuti della Legge
approvata, le critiche sono state rivolte anche alla totale chiusura al
confronto che ha caratterizzato tutta l'azione del precedente Ministro; una
indisponibilità che è proseguita nel corso dell'elaborazione dei decreti
attuativi.
Con questi decreti si sta
attentando alla libertà di ricerca e di insegnamento e si sta consentendo che i
Ministri dell'Economia e dell'Università e l'ANVUR possano commissariare gli Atenei e decidere la nascita, la
vita e la morte delle strutture universitarie.
L'azione del Ministero volta a
ridurre i già limitati spazi di democrazia si è espressa pesantemente nel
tentativo di cancellare dagli Statuti quelle norme che consentirebbero una più
ampia partecipazione democratica.
Di fronte a tutto ciò chiediamo al
Governo e al Parlamento una inversione di marcia rispetto alle scelte finora
operate, riconoscendo il ruolo fondamentale dell'Università per lo sviluppo
sociale e economico del Paese.
In questa direzione, chiediamo
interventi per rendere democratici gli Atenei e realmente autonomo il
Sistema nazionale universitario.
Chiediamo infine che il nuovo
Governo avvii con urgenza un costante confronto con le Organizzazioni e Associazioni
universitarie e sollecitiamo il Ministro a dare risposta alla nostra richiesta
di incontro.
Roma, 13 dicembre 2011
mercoledì 14 dicembre 2011
domenica 11 dicembre 2011
venerdì 9 dicembre 2011
Europa 2020 prevede nuovi traguardi apparentemente irragiungibili per il nostro Paese (se continua ad avere obiettivi di segno opposto)
- ridurre il tasso di abbandono scolastico a meno del 10% nella popolazione di età compresa tra i 18 e i 24 anni;
- conseguire una percentuale di laureati pari almeno al 40% nella fascia di età tra i 30-34 anni.

L’Italia è molto lontana da entrambi i traguardi. I giovani (fra i 30-34 anni) in possesso di un diploma di laurea sono il 19% contro una media europea del 30%, dietro di noi si posizionano soltanto la Slovacchia, la Romania e la Repubblica Ceca (Fig. 1). Il livello di istruzione è senza dubbio cresciuto nella popolazione italiana – basti osservare che nella fascia di età 55-64 anni i laureati raggiungono a stento il 10% – ma è altrettanto indubbio che i passi compiuti dal nostro paese sono modesti se comparati a quelli di altri paesi, i “cugini” Francia e Spagna in testa.
Se vuoi proseguire nella lettura clicca QUI
giovedì 1 dicembre 2011
INCREDIBILE: dopo anni un intervento sensato attinente i problemi dell'Università pubblicato dal quotidiano locale "Messaggero Veneto"
"Messaggero Veneto"
GIOVEDÌ, 01 DICEMBRE 2011
Pagina 39 - Cronache
Pagina 39 - Cronache
Atenei, il “problema” di avere tanti studenti
di RINALDO RUI - preside della facoltà di Scienze matematiche, fisiche e naturali dell’università di Trieste
Le soluzioni a questa spirale perversa sono tecniche, le scelte sono politiche, e passano attraverso un intervento serio e ragionato a livello nazionale e regionale. Scrivo prendendo spunto da alcuni avvenimenti accaduti recentemente nelle nostre due università della regione Fvg. Mi riferisco in particolare alle notizie relative all’aumento degli immatricolati, notizie riportate con grandissima enfasi, una sorta di gara tra i campanili (tanto per cambiare), e così di campanile in campanile le notizie si propagano per dare sorrisi e gioia agli abitanti di questa regione. Più tardi però, nelle riunioni in ateneo accade il contrario. Si piange perché a Udine i troppi studenti hanno finito per portare l’ateneo sopra la soglia del 20% di spesa per tasse studentesche, mentre a Trieste invece hanno contribuito a non rispettare alcuni “requisiti minimi” di docenza. In entrambi i casi la penalizzazione nasce da una serie di decreti ministeriali che impediscono, ai nostri atenei in particolare, di aumentare il numero di studenti. Perché? Provo a rispondere con un esempio. Esiste un limite di legge nel rapporto tra studenti e docenti e i decreti ministeriali impongono in genere che i corsi di laurea abbiano 100 studenti. Ma se gli studenti sono meno di 50 il corso deve chiudere, e se sono più di 150 servono il doppio dei docenti, che l’ateneo non ha. Per evitare di essere penalizzati l’ateneo dovrebbe poter “anticipare” le scelte dei giovani studenti, cosa impossibile, se non negli incubi di Orwell. C’è però una soluzione semplice: imporre il numero chiuso, definito con eufemismo dai nostri governanti «accesso programmato» per i corsi più appetibili (che non vuol dire fatti bene), e chiudere i corsi con pochi studenti (che non vuol dire fatti male), in entrambi i casi riducendo il numero di studenti. Gli atenei lo stanno già facendo; qualche anno fa c’era solo il corso di laurea in medicina “chiuso”, ora ce ne sono almeno una dozzina per ateneo, e addirittura alcuni atenei stanno progettando di farlo per tutti i corsi di studio. In questo modo viene meno il concetto di «Università pubblica», o «popolare», quella in cui gli studenti si iscrivevano ai corsi di laurea che liberamente sceglievano secondo le loro inclinazioni, mentre gli atenei cercavano di adeguare l’offerta didattica alla domanda, pur mantenendo quelle prerogative di qualità che ogni ateneo deve conservare, se non migliorare. Per capirci, se questi decreti fossero esistiti in passato l’Università di Udine non sarebbe mai nata(!), e Trieste non sarebbe la Città della Scienza (non esisterebbero infatti la Sissa, e tutti gli altri enti di ricerca, nati da docenti triestini «in soprannumero»). E così non ostante la qualità dimostrata a livello nazionale, le nostre due Università regionali, impossibilitate ad assumere nuovi docenti (solo a Trieste ci sono trenta vincitori di concorsi che non possono essere assunti), dovranno avere meno studenti, e quindi meno docenti, e quindi... Con buona pace delle "splendide" notizie di cui sopra. C’è un modo per fermare questa spirale? Le soluzioni sono tecniche, le scelte sono politiche, e passano attraverso un intervento serio e ragionato a livello nazionale e regionale. Ma per farlo ci vorrebbe un’idea di società, ovvero di una cosa che al momento pare “smarrita”.
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