Siamo l'unico paese europeo senza un Programma Nazionale della Ricerca, e
perdiamo posizioni per mancanza di ricercatori attivi.
Il MIUR allenta i requisiti minimi in termini di docenti e ricercatori per
l'accreditamento dei corsi di laurea e non si prevedono risorse utili e necessarie per rispondere alla situazione: dovremmo aumentare il numero di
ricercatori attivi e facilitarne l'immissione rispetto alle promozioni.
Infine, in Uniud ci preoccupiamo per il "piano strategico" che tatticamente allude a innovazioni confidando in risorse aggiuntive che tali non sono: tempi bui, altro che sole 24 ore.
http://www.infodata.ilsole24ore.com/2015/04/07/fondi-ue-per-la-ricerca-italia-ventesima-per-progetti-approvati-solo-il-18/
giovedì 9 aprile 2015
giovedì 25 dicembre 2014
venerdì 5 dicembre 2014
Interessante scambio epistolare tra il ricercatore Cosimo Lacava e il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano
http://www.repubblica.it/scuola/2014/12/01/news/lettera_ricercatore-101806697/?ref=HREC1-9
Egregio Presidente della Repubblica,
Il mio nome è Cosimo Lacava, ho trentadue anni, il mio mestiere è fare ricerca, nell'ambito dell'optoelettronica per le comunicazioni in fibra ottica. Le scrivo questa lettera dopo aver appreso di alcune delle misure che il Governo attuale intende portare avanti riguardo l'Università e la Ricerca. In particolare mi riferisco alla norma prevista dall'art. 28, comma 29 della Legge di Stabilità in discussione in Parlamento in questi giorni.
Tale norma intenderebbe cancellare quanto previsto dall'art. 4 del decreto legislativo 49/12, che introduceva un principio sacrosanto: e cioè che si dovesse pensare anche al futuro e non solo al presente della ricerca e della didattica delle università; e che le risorse disponibili dovessero essere equamente distribuite tra le progressioni di carriera (legittime) e le immissioni in ruolo di giovani ricercatori del tipo b (a norma della legge 240/10), l'unica figura con una prospettiva certa e chiara, dopo tre anni di lavoro di ricerca di qualità, certificato dall'ottenimento dell'abilitazione nazionale da professore associato, di poter entrare a far parte dell'organico stabile dell'università.
L'abolizione di quel principio, Presidente, rappresenterebbe una scelta miope e insensata perché non guarderebbe al futuro, ma solo al presente, peggiorando un quadro già compromesso, con il rischio di ridurre il capitale umano futuro della Ricerca Italiana; quel capitale umano che dovrà innovare e confrontarsi con le altre realtà accademiche europee e mondiali; una scelta che darebbe l'avallo a quella politica universitaria incline a premiare chi sia già immesso stabilmente in ruolo. Anche dal punto di vista simbolico, si tratterebbe di un pessimo segnale per i più giovani.
Le chiederei pertanto, sapendo dell'attenzione con cui ha da sempre guardato al sistema universitario e al suo futuro, di fare quanto nelle sue possibilità istituzionali e politiche per scongiurare quella modifica normativa che la Legge di Stabilità vuole introdurre.
Le scrivo anche, Presidente, per raccontarle la mia storia, una storia, sono sicuro, identica a tante altre, ma che forse vale la pena di essere raccontata, per evitare che tutto diventi normale, accettato. La mia storia è semplice: sono nato a Grottaglie, provincia di Taranto. Mio padre ha lavorato per quaranta anni all'Ilva di Taranto. Grazie ai suoi sacrifici ho studiato Ingegneria Elettronica (Laurea triennale, al Politecnico d Bari) e poi ho deciso di iscrivermi alla laurea magistrale in Ingegneria Elettronica a Pavia, Università piena di eccellenze nel campo che più mi interessava, appunto l'optoelettronica.
Ho concluso il mio percorso a Pavia dopo due anni e, grazie all'entusiasmo di alcuni dei docenti che mi hanno seguito, ho deciso che nella vita avrei voluto fare ricerca, che avrei voluto avere il loro stesso entusiasmo, e che mi sarebbe piaciuto, in futuro, "contagiare" altri studenti come me.
Ho deciso allora di iscrivermi al concorso di dottorato, di cui sono risultato vincitore con borsa. E' stato uno dei momenti più belli della mia carriera di studio, perché in quel momento ho capito che "era una cosa possibile" e che la ricerca italiana, in qualche modo, aveva deciso di investire risorse su di me. Circa un anno fa ho concluso il dottorato. Sono stati tre anni intensi, in cui chi mi ha seguito mi ha letteralmente "insegnato un mestiere" da zero, quello da ricercatore.
In questi anni non sono peraltro riuscito a ignorare l'altra grande passione della vita: fare Politica. Ho sempre fatto Politica, fuori dall'Università, e dentro l'Università; penso che fare Politica significhi cercare di risolvere problemi, semplicemente. Quando faccio politica mi sento al posto giusto, nel momento giusto, perché mi rendo conto che ci sono dei problemi da risolvere, e in qualche modo la passione mi aiuta a capire qual è la soluzione. Solo chi fa questa cosa ogni giorno sa cosa intendo dire, e Lei, Presidente, sono sicuro che capisce ciò che intendo.
Dopo un anno di post dottorato ho dovuto abbandonare tutto questo. Ho dovuto lasciare il mio lavoro in Italia perché mi sono reso conto (e non è difficile arrivare a questa conclusione) che non esistevano (e non esistono) prospettive qui per chi vuole fare il mio lavoro. Sono dovuto andare all'estero, abbandonando un potenziale gruppo di ricerca in crescita; e ciò nel mentre il nostro Governo vuole varare norme come quella di cui le scrivevo in principio, che vanno nella direzione sbagliata, non guardano al futuro, e che, poiché ingiuste, abbattono il morale di quanti, tra i più giovani, vorrebbero e vogliono continuare a fare ricerca nel nostro amato Paese.
Oggi nell'Università italiana si resiste, Presidente, nulla più: si cerca (e in diversi casi, peraltro si riesce, al prezzo di enormi sacrifici!) strenuamente di fare ricerca di qualità con pochi fondi (e quindi poco personale) e pochi mezzi.
So già cosa potrebbero dire alcuni leggendo questa lettera: i soldi vanno trovati altrove, fondi Europei, ecc. Tutto vero, ma questo, almeno dal dipartimento da cui arrivo io, viene fatto, e anche bene. Non si può fare di più perché continuando a tagliare fondi si taglia la base su cui noi ricercatori dobbiamo poi costruire il resto, e trovare poi fondi esterni. E' un concetto semplice: se non esiste la base, non si può costruire quello che viene dopo.
Per non parlare dell'incredibile vicenda dei progetti Sir, banditi in febbraio, scaduti a marzo (un mese per scrivere un progetto?) e di cui non si conoscono gli esiti a oggi (nel mezzo, una storia fatta d'inefficienza e incompetenza, ma non mi dilungo oltre). Qualcun altro dirà che è bene fare "un'esperienza all'estero"; non posso che essere d'accordo a patto che ci sia la possibilità di ritornare e che l'Italia ospiti altri ricercatori da altre parti del mondo per arricchirsi anch'essa. E' cosi in questo momento? Assolutamente no.
In questo momento io vivo a Salisbury, una cittadina inglese del Wiltshire. Ogni mattina alle 7.30 prendo un treno che mi porta a Southampton, dove lavoro. La mia ricerca è d'interesse internazionale e potrebbe portare, nei prossimi anni, tante innovazioni nel campo delle comunicazioni a banda larga che, sicuramente, saranno anche d'interesse primario per il nostro Paese.
Non so quantificare con precisione quanto lo Stato abbia speso per la mia formazione: so che il costo per lo Stato della formazione di un dottore di ricerca, dalla scuola primaria fino al conseguimento del titolo di Dottore di Ricerca, viene stimato in 500.000 euro. Oggi un altro Paese "trae" vantaggio da questo, senza nulla in cambio. E le statistiche di questi ultimi anni, che non le riporto, Presidente, perché immagino le conosca, raccontano di un vero e proprio esodo verso l'estero di tanti, tantissimi giovani come me. Questo non è normale, e vorrei che qualcuno se ne accorgesse.
Infine, ci terrei ad aggiungere, Presidente, che questa non è una lettera per comunicare "quanto sto male"; al contrario, io sto benissimo, mi sento "un privilegiato" perché faccio un lavoro che mi piace, che mi appassiona, lo stipendio che ricevo è giustamente proporzionato al lavoro assegnatomi e le prospettive che ho sono promettenti. Vivo bene e sono felice, vorrei però poter decidere di farlo nel mio e per il mio Paese.
In questi momenti mi rendo conto che anche contribuire al bene comune del nostro Paese sta diventando un privilegio per noi Italiani; e mi creda, Presidente, questo fa male, molto male. Vorrei, al contrario, poter tornare, e tornare ad investire una consistente parte del mio tempo libero in impegno civile e politico, per lasciare un Paese migliore alle generazioni che seguiranno. Il resto del tempo vorrei semplicemente lavorare, e fare il mio lavoro, attraverso cui, ugualmente, contribuire al bene comune e dimostrare anche che l'investimento fatto su di me è stato un buon investimento. Con un cordiale saluto,
Southampton, 27/11/2014
http://www.repubblica.it/scuola/2014/12/05/news/napolitano_risposta_lacava-102189625/?ref=HRER3-1http://www.repubblica.it/scuola/2014/12/05/news/napolitano_risposta_lacava-102189625/?ref=HRER3-1
Gentile Dottor Lacava,
ho ricevuto la sua lettera – peraltro già resa nota da la Repubblica – e volentieri le rispondo per esprimerle innanzitutto il mio apprezzamento per l’impegno con cui sin dagli anni dell’università ha scelto e seguito con tenacia e sacrifici un difficile percorso per realizzare i suoi obbiettivi di studio e professionali.
Purtroppo come tanti altri ricercatori meritevoli e di talento anche lei non ha trovato in Italia le condizioni necessarie per continuare le sue ricerche e si è trasferito all’estero dove ha trovato adeguate e soddisfacenti opportunità di lavoro. Lei giustamente sostiene che questa non deve essere una scelta obbligata e che l’investimento fatto per la sua formazione dovrebbe poter essere utilizzato per il bene e lo sviluppo del nostro Paese.
Per quanto riguarda la questione di merito da lei segnalata relativamente ad una norma contenuta nella Legge di Stabilità, si tratta di una problema ancora all’esame del Parlamento sul quale è opportuno riflettere con attenzione tenendo conto dei diversi pareri esistenti in proposito.
Non vi è dubbio però che – come peraltro ho sempre sostenuto – il vero problema da affrontare sia quello delle risorse tuttora insufficienti destinate all’Università e che sarebbe necessario programmare un piano di assunzioni che renda l’organico degli Atenei e quindi l’Università italiana in linea con i più avanzati standard europei.
Nell’augurarle comunque che possa realizzare le sue aspirazioni le invio i miei più cordiali saluti
Giorgio Napolitano
sabato 11 ottobre 2014
Hanno scelto l’ignoranza
Scienziati di diversi paesi europei descrivono in questa lettera che, nonostante una marcata eterogeneità nella situazione della ricerca scientifica nei rispettivi paesi, ci sono forti somiglianze nelle politiche distruttive che vengono seguite. Quest’analisi critica, pubblicata contemporaneamente in diversi quotidiani in Europa, vuole suonare un campanello d’allarme per i responsabili politici perché correggano la rotta, e per i ricercatori e i cittadini perché si attivino per difendere il ruolo essenziale della scienza nella società.
I responsabili delle politiche nazionali di un numero crescente di Stati membri dell’UE hanno completamente perso contatto con la reale situazione della ricerca scientifica in Europa.
Hanno scelto di ignorare il contributo decisivo che un forte settore della ricerca può dare all’economia, contributo particolarmente necessario nei paesi più duramente colpiti dalla crisi economica. Al contrario, essi hanno imposto rilevanti tagli di bilancio alla spesa per Ricerca e Sviluppo (R&S), rendendo questi paesi più vulnerabili nel medio e lungo termine a future crisi economiche. Tutto ciò è accaduto sotto lo sguardo compiacente delle istituzioni europee, più preoccupate del rispetto delle misure di austerità da parte degli Stati membri che del mantenimento e del miglioramento di un’infrastruttura di R&S, che possa servire a trasformare il modello produttivo esistente in uno, più robusto, basato sulla produzione di conoscenza.
Hanno scelto di ignorare che la ricerca non segue cicli politici; che a lungo termine, l’investimento sostenibile in R&S è fondamentale perché la scienza è una gara sulla lunga distanza; che alcuni dei suoi frutti potrebbero essere raccolti ora, ma altri possono richiedere generazioni per maturare; che, se non seminiamo oggi, i nostri figli non potranno avere gli strumenti per affrontare le sfide di domani. Invece, hanno seguito politiche cicliche d’investimento in R&S con un unico obiettivo in mente: abbassare il deficit annuo a un valore artificiosamente imposto dalle istituzioni europee e finanziarie, ignorando completamente i devastanti effetti che queste politiche stanno avendo sulla scienza e sul potenziale d’innovazione dei singoli Stati membri e di tutta l’Europa.
Per proseguire nella lettura e sottoscrivere la petizione clicca QUI
martedì 24 giugno 2014
martedì 31 dicembre 2013
In Facebook il messaggio di fine anno della Ministra Carrozza
L'anno che sta finendo ha segnato molti cambiamenti per me, con emozioni contrastanti, dalla delusione per il risultato delle elezioni politiche alla soddisfazione di giurare da Ministro di fronte al nostro Presidente della Repubblica.
Ho ereditato un ministero che negli ultimi anni ha subito tagli pesantissimi ed è stato visto solo come un centro di spesa invece che una risorsa per i giovani e per tutto il nostro Paese. Con il Governo Letta abbiamo orgogliosamente avviato fin da subito una netta inversione di tendenza: stop ai tagli, si torna ad investire. E abbiamo iniziato da uno dei capitoli che mi stanno più a cuore, l'edilizia scolastica:450 milioni di euro con il Decreto del Fare, ai quali si è aggiunta la possibilità per le Regioni di stipulare mutui agevolati ed infine, nell'ultimo Consiglio dei ministri, altre risorse provenienti dai fondi strutturali.
Per la prima volta dopo anni abbiamo varato un pacchetto di misure destinate esclusivamente all'istruzione, con il decreto L'Istruzione riparte. 450 milioni di euro a regime per il diritto allo studio universitario, il wireless nelle scuole, agevolazioni per i trasporti, il comodato d'uso per i libri, l'assunzione di più d 26mila insegnanti di sostegno, l'orientamento, la lotta alla dispersione scolastica, la formazione dei docenti, gli istituti musicali. E anche per l'università, grazie alle scelte fatte quest'anno, nel 2014 le risorse aumenteranno rispetto all'anno precedente.
Si dirà che non è sufficiente, che le nostre scuole, i nostri atenei e la nostra ricerca hanno bisogno di maggiore attenzione, maggiori finanziamenti, ma questo governo ha ricominciato un cammino. E soprattutto crediamo che investire in istruzione sia una scelta strategica per il futuro dell'Italia.
Nel 2014 affronteremo altre sfide: partirà la Costituente della scuola, una grande opportunità per tornare a discutere di politiche per l'istruzione e fissare i nostri obiettivi coinvolgendo tutta la società.
Nei primi mesi dell'anno avvieremo anche la revisione del sistema di finanziamento delle nostre università per renderlo più semplice e più giusto, e presenteremo il nuovo Piano nazionale della Ricerca, che punterà soprattutto sui nostri giovani ricercatori, premiando la loro indipendenza.
Abbiamo ancora molto da fare, ma stiamo andando nella giusta direzione. Buon 2014!
Il CoUP continuerà a entrare nel merito di quanto anticipato:
- Costituente della Scuola ?
- "Nuovo" sistema di finanziamento Università ?
- Piano Nazionale della Ricerca 2014 ?
- Giusta direzione?
L'anno che ci stiamo lasciando alle spalle è stato difficile e pesante ed è.
E' un nostro diritto chiedere e voler costruire un "Paese normale" dove ci siano sviluppo economico, posti di lavoro per i giovani, una maggiore produttività del sistema pubblico e privato, una fiscalità più equa, certezze per chi perde il posto di lavoro, una riduzione del debito pubblico, un più proficuo impiego delle risorse destinate al sociale, all'istruzione, all'università, alla ricerca e all'innovazione. Vogliamo un "Paese normale" dove il cittadino senta vicini i politici/amministatori e dove quest'ultimi si occupino con onestà e competenza dei veri problemi.
sabato 21 dicembre 2013
giovedì 12 dicembre 2013
domenica 8 dicembre 2013
LA MOBILITAZIONE CONTINUA CON INIZIATIVE DIFFUSE
COBAS-Pubblico Impiego, CoNPAss, CSA-CISAL
Università, FLC-CGIL, LINK,
RETE29Aprile, SNALS-Docenti, SUN-Universitas
News, UDU, UGL-INTESA FP, UIL RUA
LA MOBILITAZIONE CONTINUA
PER IMPEDIRE LA DISTRUZIONE
DELL'UNIVERSITA'
ASSEMBLEE NAZIONALI
A NAPOLI IL 20 DICEMBRE
A ROMA E MILANO A GENNAIO
ALTRE SETTIMANE DI DISCUSSIONE
A LEZIONE
Dopo
la Settimana nazionale del 18-23 novembre di discussione e mobilitazione,
indetta con l'Appello
“Stanno uccidendo l'Università!”, prosegue l'impegno in tutti gli Atenei per
difendere e rilanciare l'Università statale. L'Italia, per il suo sviluppo culturale, sociale ed
economico, ha vitale bisogno di un'Università pubblica, efficiente,
democratica, aperta a tutti e diffusa nel Paese: senza di essa è a rischio la
stessa tenuta democratica del nostro Paese.
Dopo
la recente ripartizione
ministeriale dei punti organico agli Atenei è ancora più chiaro l'obiettivo
di chiudere e/o emarginare la maggior parte degli Atenei (soprattutto del Sud)
e di concentrare le risorse pubbliche in poche università (auto) eccellenti. E
questo in un quadro di pesantissimi tagli per tutti gli Atenei, tagli che non
hanno riscontro negli altri Paesi dove,
al contrario, si aumentano gli investimenti per la ricerca e l'alta
formazione.
Le
Organizzazioni universitarie, rappresentative di tutte le componenti, hanno
avanzato in tutti questi mesi articolate
proposte per evitare la scomparsa dell'Università statale. Su queste proposte si è chiesto al
Ministro un confronto approfondito e continuo, senza ricevere - dopo mesi -
alcuna risposta.
Il
Ministro invece dialoga con la Confindustria (a “Porta
a Porta”) e parteciperà il 9 dicembre a un convegno
organizzato dalla Bocconi dove – senza mezzi termini – si discuterà su “cosa
distruggere”!
Lo
stesso Ministro, invece di ascoltare le Organizzazioni universitarie,
preferisce interloquire con la CRUI, l'Associazione dei Rettori che ha voluto e
difeso la famigerata legge Gelmini, assieme alla Confindustria, con la quale ha
stipulato nel novembre 2011 un “Accordo”,
un “Asse” per svolgere compiti che dovrebbe esercitare il Ministero.
In
questo quadro non può non destare ulteriore allarme la confermata
intenzione del Ministro di fare approvare una legge delega per
l'università, che potrebbe diventare uno strumento per espropriare ancora di
più il Parlamento, per decidere sull'Università nel chiuso delle stanze dei
poteri forti. Dal Parlamento e dal Ministero dovrebbero prioritariamente essere
emanate norme che invertano una politica mirata alla demolizione
dell'Università, accompagnata peraltro da una gestione pasticciata (bonus
maturità, abilitazioni nazionali).
Occorrono
scelte legislative e ministeriali che diano risposte immediate ai drammatici
problemi del diritto allo studio, del precariato, della gestione degli Atenei,
del finanziamento della ricerca, del reclutamento e della carriera dei docenti,
del blocco delle retribuzioni, ecc.
Per
tutto questo è indispensabile informarsi e informare su quanto è stato fatto,
si sta facendo e si farà per distruggere l'Università ed è anche necessario
discutere proposte alternative.
In
questa direzione, le Organizzazioni universitarie hanno deciso di:
1. Convocare tre iniziative nazionali a Napoli, Roma e Milano per discutere sui problemi
che interessano tutto il Sistema nazionale universitario.
2. Invitare tutti i docenti a dedicare nelle prossime settimane una parte
delle loro lezioni per discutere con gli studenti sui principali temi che
affliggono l?Università, seguendo – se lo ritengono – le seguenti indicazioni
per le prossime settimane:
- nella settimana del 2-7 dicembre: precariato
universitario;
- nella settimana del 9-11 dicembre: diritto allo
studio;
- nella settimana del 16-21 dicembre: ruolo unico dei
docenti .
martedì 3 dicembre 2013
Tre anni di riforma Gelmini: cronaca di un’eutanasia
Assemblea dell’Università di Udine
Mercoledì 11 dicembre 2013, ore 16.30 – Piazzale Kolbe 4, Udine – Aula A
Tre anni di riforma Gelmini: cronaca di un’eutanasia
Cari
colleghi,
nel
dicembre 2010 vennero approvate le “Norme in materia di organizzazione delle
università”, un corpo legislativo noto come riforma Gelmini (L. 240/2010), che
da allora obbligò le Università italiane a dotarsi di Statuti per il
recepimento e l’attuazione di una nuova struttura di governo e di
organizzazione accademica. Le espressioni critiche e il dissenso aperto
marcarono il lungo periodo di gestazione della riforma, ma l’isolamento del
movimento di protesta, il discredito sistematico da parte della stampa,
l’abulia e l’impreparazione dell’opposizione parlamentare dettero modo al
governo Berlusconi di istituzionalizzare le misure di ridimensionamento
complessivo della formazione e della ricerca universitarie, nel segno delle
politiche economiche neoliberiste dell’ultimo ventennio.
Il
risultato di questo processo lo tocchiamo con mano ogni giorno: le Università
si trovano sempre più in grave sofferenza economico-finanziaria e di organico a
causa della contrazione netta del 21% del trasferimento FFO. Si mira a ridurre
drasticamente il numero di addetti alla formazione superiore, si vuole
restringere il finanziamento a pochi grandi atenei di ricerca, per diminuire ed
accorpare i rimanenti in strutture di insegnamento prive di attività di
ricerca. Tutto ciò a fronte di una crisi globale, in cui il nostro Paese
risulta ancora più penalizzato dalla prolungata miopia politica di assenza di
cultura del valore aggiunto della ricerca, tradotta in opzioni produttive di
corto respiro, piccolo cabotaggio, senza l’ossatura di vere scelte tecniche per
programmare uno sviluppo economico di sistema.
Diversi
sono i punti critici della riforma Gelmini che a regime hanno dispiegato tutto
il loro potenziale distruttivo, come descritto, ad esempio, di recente da Paolo
Rossi (http://www.roars.it/online/riforma-delluniversita-un-primo-bilancio/). Nel complesso, la soluzione più salutare sarebbe
quella di cancellare del tutto una riforma che si preoccupa solo di limitare le
dimensioni del sistema universitario e normarlo per assicurare un controllo
verticistico, senza curarsi minimamente del vero fine dell’istituzione, cioè la
qualità dell’alta formazione. Nessuna forza politica, tuttavia, esprime una
tale posizione, e riteniamo non sia un caso.
Non
possiamo, però, continuare a tacere di fronte alla prospettiva di inaridimento
progressivo, di eutanasia, appunto, dell’Università pubblica. I problemi
urgenti sono legati all’incertezza sulle prospettive di sostenibilità dei
corsi, alla decimazione dell’organico imposta dalle rigide discipline del
turnover e, soprattutto, alla precarizzazione del ruolo dei ricercatori, una
scelta che mina dalle fondamenta il ricambio generazionale, le prospettive dei
giovani ricercatori, il futuro della cultura scientifica dell’intero Paese.
Per
discutere di questi temi, come si è fatto o si sta facendo in altre sedi (cf.
documento allegato), proponiamo la prossima assemblea della comunità
universitaria per mercoledì 11 dicembre 2013 (ore 16.30, p.le Kolbe, aula A).
CoUP – Coordinamento per l’Università
Pubblica – Udine
ADI,
ADU, ANDU, ARTeD, CIPUR, CISL-Università, CNRU, CNU, COBAS-Pubblico
Impiego, CoNPAss, CSA-CISAL
Università, FLC-CGIL, LINK, RETE29Aprile,
SNALS-Docenti,
SUN-Universitas News, UDU, UGL-INTESA FP, UIL RUA
STANNO
UCCIDENDO L'UNIVERSITà!
Per
salvare e rilanciare l’Università
Settimana
nazionale (dal 18 al 23 novembre)
di
mobilitazione e discussione in tutti gli Atenei
A lezione discussione con gli studenti
Gli Organi di Ateneo si pronuncino
Lo
smantellamento del Sistema universitario pubblico italiano in corso da anni
sembra ormai giunto allo stadio finale: la situazione degli Atenei statali non è
stata mai così drammatica.
L'Università tutta è sotto attacco e a essere
pesantemente danneggiati non sono solo coloro che vi lavorano e vi studiano, ma
l'intero Paese, che rischia di perdere lo strumento principale per la sua
crescita culturale, sociale ed economica e di arretrare anche sul piano della
sua tenuta democratica.
Contro la cancellazione dell'idea stessa di una
università qualificata, democratica, diffusa nel territorio e aperta a tutti,
occorre che tutte le componenti universitarie (studenti, precari, tecnico-amministrativi, lettori-cel, ricercatori, professori)
rispondano in tempo e unitariamente, rigettando la logica del “tutti contro
tutti”. Una logica a cui vorrebbero portare coloro che in tutti questi anni
hanno imposto tagli sempre crescenti e ormai mortali, norme che uccidono il diritto allo studio, bloccano il
ricambio generazionale dei docenti-ricercatori, attribuiscono poteri immensi ai
rettori che sempre più stanno assumendo il ruolo di “commissari liquidatori “
degli Atenei. Insomma, si vuole tornare a una Università di élite, frequentata
solo da chi se lo può economicamente consentire.
Con la scusa dell'autonomia responsabile, della
meritocrazia e della competizione, si vorrebbero nascondere i tagli, lo
svuotamento del diritto allo studio, l'espulsione di migliaia di lavoratori
precari, l'azzeramento della ricerca, il blocco delle carriere e delle
retribuzioni.
Gli studenti sono il principale
bersaglio di questo piano di devastazione dell'Università: calano le
immatricolazioni e aumentano i corsi a numero chiuso, si aumentano le tasse
mentre si riducono i fondi per le borse di studio, gli alloggi e le
biblioteche, si restringe e si dequalifica l'offerta formativa. E tutto questo
accompagnato dalla crescente volontà di cancellare il valore dei titoli di
studio, abolendo il valore del voto di laurea e introducendo anche all'Università gli inaffidabili e fallimentari test
TECO-INVALSI.
I docenti-ricercatori precari, che danno
un notevole contributo allo svolgimento della ricerca e della didattica, svolgendo
spesso gli stessi compiti dei docenti di ruolo, sono stati tenuti in uno stato
di incertezza e di subalternità (condizioni opposte a quelle ritenute
necessarie anche dalla Comunità europea) e per loro non è previsto alcun serio
sbocco nella docenza di ruolo e solo ad alcuni di loro si offre di prolungare
il loro stato di precarietà.
I lettori-cel, che svolgono compiti di
docenza ancora più importanti nella prospettiva dell'internazionalizzazione,
sono sempre più vittime del tentativo di far cassa esternalizzando e
dequalificando il loro ruolo, arrivando in qualche caso anche a essere
licenziati.
Anche per i tecnico-amministrativi è
aumentato il carico di lavoro per il blocco del reclutamento e anche a loro è
stata bloccata la retribuzione, con il mancato rinnovo dei contratti e con
la messa in discussione di una
parte del salario (cosiddetto “accessorio”).
I docenti di ruolo, professori e
ricercatori, vedono sempre più aumentare il proprio carico di lavoro e
diminuire i fondi per la ricerca e la didattica, mentre la loro retribuzione è
stata bloccata. Anche le promozioni sono state bloccate con la farsa delle
abilitazioni nazionali, ridicolizzate da una gestione maldestra e pasticciata
da parte del Ministero e dell'ANVUR, con l'indubbio risultato di marchiare i
non abilitati (“disa-abilitati”) e di ammucchiare gli abilitati in liste in
attesa di una chiamata che dipenderà dalla (in)disponiblità dei fondi e dalla
volontà degli Atenei.
Tutto questo può spingere alla logica del “tutti
contro tutti”, nella speranza di
scamparla da soli: il singolo ateneo, la singola struttura, la singola
categoria, il singolo.
Al contrario, solo se si uniscono tutti coloro
che lavorano e studiano può realizzarsi un'efficace opposizione al progetto di
demolizione dell'Università italiana e si può rilanciare questa Istituzione,
strategica per l'intero Paese.
Per questo le Organizzazioni universitarie
rivolgono un pressante APPELLO a tutta la Comunità universitaria a incontrarsi
e a discutere in tutti gli Atenei durante la settimana di mobilitazione (18-22
novembre), per arrivare a una grande MANIFESTAZIONE nazionale entro quest'anno.
Bisogna che tutti prendiamo consapevolezza dello stato
drammatico nel quale è stato ridotto il Sistema universitario e della necessità
e urgenza di forti iniziative unitarie per il necessario rilancio dell’alta
formazione e della ricerca.
Le Organizzazioni universitarie invitano anche
tutti i docenti a discutere con gli studenti sulla drammatica situazione delle
Università italiane, dedicando a questo tema una parte delle loro lezioni, e
chiedono a tutti gli Organi degli Atenei di pronunciarsi sullo stato
dell'Università.
sabato 9 novembre 2013
NEI LIMITI DEL SESSANTA PER CENTO DEI SOGGETTI AMMISSIBILI. BEFFA, BURLA O INGANNO?
IL MINISTRO DELL'ISTRUZIONE, DELL'UNIVERSITA' E DELLA RICERCA di concerto con IL MINISTRO DELL'ECONOMIA E DELLE FINANZE Visto il decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300, e successive modificazioni; Vista la legge 30 dicembre 2010, n. 240, e successive modificazioni, recante "Norme in materia di organizzazione delle universita', di personale accademico e reclutamento, nonche' delega al Governo per incentivare la qualita' e l'efficienza del sistema universitario", ed in particolare l'art. 29, comma 19, che autorizza la spesa di 18 milioni di euro per l'anno 2011 e di 50 milioni di euro per ciascuno degli anni 2012 e 2013 per l'attuazione degli articoli 6, comma 14, e 8 - concernenti la valutazione del complessivo impegno didattico, di ricerca e gestionale dei professori e ricercatori universitari ai fini dell'attribuzione degli scatti, e la revisione del trattamento economico degli stessi - prevedendo altresi' che con apposito decreto del Ministro dell'istruzione, dell'universita' e della ricerca, adottato di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze siano indicati criteri e modalita' per l'attuazione ai fini della ripartizione delle risorse tra gli atenei e la selezione dei destinatari dell'intervento secondo criteri di merito accademico e scientifico; Visto l'art. 49, comma 3-bis del decreto-legge 9 febbraio 2012, n. 5, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 aprile 2012, n. 35, che, a valere sulle risorse previste dal predetto art. 29, comma 19, della legge n. 240 del 2010 e limitatamente all'anno 2012, ha disposto la riserva di una quota non superiore a 11 milioni di euro per le finalita' di cui all'art. 5, comma 3, lettera g), della medesima legge; Visto l'art. 9, comma 21 del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, che ha disposto, per gli anni 2011, 2012 e 2013, la disapplicazione dei meccanismi di adeguamento retributivo e di progressione automatica degli stipendi per il personale non contrattualizzato; Visto il decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modifiche; Visto l'art. 24 della legge 23 dicembre 1998, n. 448; Vista la legge 9 maggio 1989, n. 168, e successive modifiche; Visto il decreto del Presidente della Repubblica 15 dicembre 2011, n. 232, recante regolamento per la disciplina del trattamento economico dei professori e dei ricercatori universitari, a norma dell'art. 8, commi 1 e 3 della legge n. 240 del 2010; Visto il decreto del Presidente della Repubblica 11 luglio 1980, n. 382; Visto il decreto 21 luglio 2011, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 254 del 31 ottobre 2011, con il quale sono stati definiti criteri e modalita' per la ripartizione delle risorse di cui all'art. 29, comma 19 della citata legge n. 240 del 2010 (quota 2011); Visto lo stanziamento disponibile sul cap. 1694 dello stato di previsione della spesa di questo Ministero per gli esercizi finanziari 2012 e 2013, pari a 50 milioni di euro per il 2012 e 50 milioni di euro per il 2013; Tenuto conto che l'art. 49, comma 3-bis del decreto-legge 9 febbraio 2012, n. 5, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 aprile 2012, n. 35, a valere sulle risorse previste dal predetto art. 29, comma 19, della legge n. 240 del 2010 e limitatamente all'anno 2012, ha riservato una quota non superiore a 11 milioni di euro per le finalita' di cui all'art. 5, comma 3, lettera g), della medesima legge; Considerato che detta quota determinata sulla base dei soggetti aventi diritto e rilevati al 31 dicembre 2012 e' pari ad € 10.181.686; Ritenuta la necessita' di definire criteri e modalita' per la ripartizione alle universita' dell' importo di € 39.818.314 al netto della quota destinata alle finalita' di cui all'art. 5, comma 3, lettera g), della legge n. 240 del 2010 (quota 2012) e 50 milioni di euro (quota 2013); Decreta: Art. 1 Ambito di applicazione 1. Il presente decreto definisce criteri e modalita' per l'attuazione dell'art. 29, comma 19 della legge 30 dicembre 2010, n. 240, con riferimento alla ripartizione tra gli atenei delle risorse autorizzate per l'anno 2012, pari a € 39.818.314, e per l'anno 2013, pari a € 50.000.000, nonche' alla selezione dei destinatari dell'intervento secondo criteri di merito accademico e scientifico. 2. Le disposizioni di cui al presente decreto si applicano anche agli istituti universitari ad ordinamento speciale.Art. 2 Riparto delle risorse per l'anno 2012 1. Sono soggetti ammissibili all'intervento per l'anno 2012 i professori e ricercatori che avrebbero maturato nel 2012 la progressione biennale dello stipendio per classi e scatti, ai sensi degli articoli 36 e 38 del decreto del Presidente della Repubblica 11 luglio 1980, n. 382, in assenza delle disposizioni di cui all'art. 9, comma 21, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122. 2. Le risorse relative all'anno 2012, pari a € 39.818.314, sono ripartite fra le universita' in maniera proporzionale alla consistenza numerica complessiva dei soggetti ammissibili all'intervento ai sensi del comma 1, in servizio presso ciascuna di esse.Art. 3 Riparto delle risorse per l'anno 2013 1. Sono soggetti ammissibili all'intervento per l'anno 2013 i professori e ricercatori che avrebbero maturato nel 2013 la progressione biennale dello stipendio per classi e scatti, ai sensi degli articoli 36 e 38 del decreto del Presidente della Repubblica 11 luglio 1980, n. 382, in assenza delle disposizioni di cui all'art. 9, comma 21, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122. 2. Le risorse relative all'anno 2013, pari a 50 milioni di euro, sono ripartite fra le universita' in maniera proporzionale alla consistenza numerica complessiva dei soggetti ammissibili all'intervento ai sensi del comma 1, in servizio presso ciascuna di esse.
Art. 4Criteri per la selezione dei destinatari dell'intervento per gli anni 2012 e 2013Ciascuna universita', per ciascuno degli anni 2012 e 2013, distribuisce le risorse assegnate in misura proporzionale alla consistenza numerica nell'anno di riferimento dei soggetti ammissibili per ruolo e per fascia, con facolta' di utilizzare, per motivate esigenze, fino a un terzo delle risorse cosi' distribuite a favore di diverso ruolo o fascia. Le risorse sono attribuite a professori e ricercatori esclusivamente secondo criteri di merito accademico e scientifico. I procedimenti di selezione, basati sulla valutazione comparativa dei candidati, sono disciplinati dall'universita' con proprio regolamento, osservando i seguenti criteri: a) previsione di criteri e procedimenti distinti per ruolo e per fascia; b) ammissione al procedimento per ciascuno degli anni 2012 o 2013 dei soggetti aventi diritto, rispettivamente ai sensi dell'art. 2 o 3, che hanno presentato domanda; c) presentazione da parte dei candidati della relazione sul complesso delle attivita' didattiche, di ricerca e gestionali svolte, ai sensi dell'art. 6, comma 14 della citata legge n. 240 del 2010; d) assolvimento da parte dei candidati dei compiti loro affidati nel triennio precedente, in relazione allo stato giuridico e alle esigenze dell'ateneo di appartenenza; e) accertamento da parte della autorita' accademica della effettuazione di pubblicazioni scientifiche nel triennio precedente; f) verifica della qualita' della produzione scientifica nel triennio precedente sulla base di criteri adottati a livello internazionale. 2. Per l'anno 2012, le risorse sono attribuite da ciascuna universita', fino ad esaurimento, come incentivo una tantum ai professori e ricercatori che si sono collocati in posizione utile nella graduatoria e comunque nel limite del sessanta per cento dei soggetti ammissibili ai sensi dell'art. 2, comma 1, per ciascun ruolo e fascia. 3. Per l'anno 2013, le risorse sono attribuite da ciascuna universita', fino ad esaurimento, come incentivo una tantum ai professori e ricercatori che si sono collocati in posizione utile nella graduatoria e comunque nel limite del sessanta per cento dei soggetti ammissibili ai sensi dell'art. 3, comma 1, per ciascun ruolo e fascia. Il presente decreto e' trasmesso alla Corte dei Conti per la registrazione e pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale. Roma, 26 luglio 2013 Il Ministro dell'istruzione, dell'universita' e della ricerca Carrozza Il Ministro dell'economia e delle finanze Saccomanni Registrato alla Corte dei conti il 14 ottobre 2013 Ufficio di controllo sugli atti del MIUR, del MIBAC, del Min. salute e del Min. lavoro, registro n. 13, foglio n. 235
LINK a: www.gazzettaufficiale.it
Clicca QUI per il DM luglio 2011 dove ci si riferiva alla mediana del 50%
giovedì 31 ottobre 2013
BASTA CHIACCHIERE, E' NECESSARIO ARCHIVIARE LA LEGGE 240/2010 CON SCELTE DI SVILUPPO A MEDIO E LUNGO TERMINE
L’intervista di Alberto Beltrami sulle difficoltà del corso di laurea in Medicina di Udine, nei giorni scorsi in risalto sulla stampa locale, muove da un disagio effettivo, ma è, a nostro avviso, anche viziata da una certa parzialità.
Se è vero che le notazioni sulla precarietà del sostegno finanziario e logistico alle strutture di ricerca, sulla vera e propria decimazione del personale docente in atto da anni nel silenzio più unanime di tutto l’apparato, sull’assenza di prospettive per i giovani ricercatori, sono denunce assolutamente doverose e legittime, che possono solo essere sottoscritte, ed è un bene che vengano portate all’attenzione dell’opinione pubblica, è altrettanto vero che porre l’accento sulla mancanza di un docente di malattie infettive, o su un pediatra di contrabbando perché preso in prestito, o su un urologo che non arriva, nonostante la dipartita verso lidi parlamentari nientemeno che di Gigli (che peraltro è un neurologo), denota una visione tutta centrata sul polo medico, che oscura la drammaticità altrettanto rilevante della situazione universitaria generale, non solo udinese.
Le preoccupazioni espresse dal prof. Beltrami vanno estese a tutto il mondo della formazione e della ricerca universitaria italiana.
Bisogna richiamare l’attenzione di tutti sulla gravità dell’operazione in atto, sancita con la riforma Gelmini, che istituzionalizza la riduzione di oltre il 20% del budget per l’Università italiana, la precarizzazione dei ricercatori, la verticizzazione del governo accademico e l’affidamento del potere decisionale ai soli CdA.
Bisogna denunciare la mistificazione che da anni si compie sulla stampa italiana ai danni dell’Università pubblica, presentata come un’associazione di baroni dediti alla vessazione dei loro sottoposti, con un numero esorbitante di sedi, corsi di laurea e iscritti, una scarsa qualità di insegnamento, un alto costo di gestione. Fermo restando che non si difende nessuno d’ufficio e che per gli episodi di malcostume la competenza è solo della magistratura, gli addebiti della pubblicistica rampante degli economisti neoliberali sono stati ripetutamente confutati, dimostrando che spesso si tratta di falsità confezionate ad arte (cfr. www.roars.it).
Bisogna protestare puntualmente contro chi denigra pubblicamente la qualità della ricerca universitaria italiana e la qualità della preparazione impartita dall’Università italiana nel suo complesso, perché sia la ricerca che la preparazione media nei fatti non sono per nulla inferiori agli standard internazionali.
Bisogna contestare l’idea che le università pubbliche debbano essere chiuse o accorpate. Al contrario, per assicurare il diritto allo studio, le università esistenti vanno potenziate per risolvere le criticità, come imposto dalla necessità di aumentare il numero di laureati e dalle dimensioni del Paese, che per crescere deve innalzare il suo livello di conoscenza.
Queste idee sono state messe al centro in una serie di incontri e dibattiti svoltisi ripetutamene nelle aule universitarie di Udine. Dei quali, tuttavia, non c’è stata alcuna traccia nei resoconti della stampa locale. Il vero problema, però, non è nella mancanza di pubblicizzazione di quelle iniziative. Il problema ancora oggi è che, andando avanti così, il nostro Paese si avvia a rinunciare completamente alla sua cultura scientifica perché lentamente l’Università viene minata, svilita e svuotata da una politica ignorante e senza scrupoli.
Forse proporre all’opinione pubblica una riflessione in questi termini può essere necessario, non si tratta di allarmismo. Il dramma, perciò, non è solo per il pediatra, l’infettivologo o l’urologo che non ci sono, ma anche per il geografo in via di estinzione, il chimico fisico non sostituito, il musicologo mai visto, il cromatografo rotto e non riparato, lo spettrometro vecchio di venticinque anni non ammodernato, ecc.
Con l’elenco dei problemi, però, la soluzione che se ne prospetta non può prescindere da una critica complessiva alle scelte di sviluppo socio-economico che hanno condotto alla situazione presente, perché il problema dell’Università è solo un aspetto della realtà che si è prodotta negli ultimi anni. Scelte di sviluppo socio-economico che appaiono ancora una volta confermate da una classe di politici semplicemente sconcertante. Ancora oggi, tutti d’accordo nel governo delle larghe intese, non si trova altra soluzione che riproporre ricette economiche che privilegiano la tutela della finanza bancaria, la protezione di una massa di imprenditori responsabili dello smantellamento industriale, la difesa ad oltranza dei grandi patrimoni e l’accanimento dell’imposizione indiretta, la contrazione progressiva dei servizi pubblici.
In questo panorama si dibattono anche le istituzioni accademiche, ma è chiaro che la soluzione dei problemi non può cominciare reclamando misure per l’Università. C’è bisogno di un progetto per la società che prefiguri scelte di sviluppo futuro da costruire con una politica economica di respiro almeno ventennale.
Coordinamento per l’Università Pubblica
venerdì 25 ottobre 2013
Il ministro Carrozza "vola alto" e si illude che bastino le parole
Vorrei che la politica economica del futuro si basasse sulla politica per l'istruzione: istruzione, cultura e tutela dell'ambiente, nell'ambito di una politica sostenibile, devono essere i pilastri per il risveglio e il rilancio del nostro paese. Nel corso del mio viaggio per l'Italia non ho visto solo scuole e università ma anche la Certosa di Calci, la Reggia di Caserta e tanti altri monumenti e musei. L'esempio della Certosa di Calci, che contiene all'interno un museo della scienza aperto a tutti gli studenti di ordine e grado e un museo nazionale gestito dai beni culturali, ci indica che dobbiamo lavorare per affiancare istruzione e cultura in un'unica azione di rilancio del nostro patrimonio culturale, artistico e intellettuale. Per questo ho accolto come uno stimolo e un incentivo a continuare il discorso di ieri del Governatore Visco, che ringrazio per aver coraggiosamente parlato di scuola e istruzione in un momento difficile come questo, senza distruggere ma costruendo una base per la discussione.
Serve una vera alleanza tra gli Enti locali e il ministero dell'Istruzione per rimettere al centro del dibattito il tema della scuola. I sindaci, i comuni, i dirigenti scolastici - come ho detto oggi a Firenze all'Assemblea dell'Anci - devono essere le nostre antenne sul territorio, per dare ai ragazzi non solo e non tanto un certificato, ma vere competenze per riuscire a trovare una strada e un futuro in una società sempre più difficile e competitiva.
Oggi l'istruzione rischia di diventare per alcuni un bene di lusso e non possiamo permettercelo. Il Paese non può permettersi di avere ancora aree in cui il tasso di dispersione scolastica è drammatico, non possiamo e non dobbiamo lasciare indietro interi territori. Penso che come Ministro il mio ruolo sia di sostenere chi è in grado di andare avanti più velocemente ma fare di tutto perché chi fa più fatica non venga abbandonato. La scuola e l'istruzione devono tornare ad essere il vero ascensore sociale di questo Paese.
Video del discorso del Ministro Carrozza
martedì 8 ottobre 2013
Era ora, ecco i primi segnali di una inversione di tentenza
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Le attività dei vari governi degli ultimi anni sono state un susseguirsi di interventi finalizzati il più delle volte a rispondere a qualche emergenza. Sociale. Finanziaria. Industriale. Giuridica. Abbiamo visto tanti mezzi senza capire quali fossero i fini ultimi. I risultati, infatti, non sembrano così entusiasmanti. Tanto che la posizione del nostro Paese non è affatto migliorata. In termini di crescita, tra i grandi Paesi europei siamo fanalino di coda. Segno che quando i mezzi lavorano in presenza di fini discordanti o, addirittura, in assenza di fini sono questi ultimi a essere giustificati dai mezzi e non il contrario come vorrebbe il comune sentire dal Principe in poi.
Prendiamo l'università. Nel 2010 è stata approvata una legge di riforma che nei tre anni successivi tutti gli atenei hanno adottato in applicazione di oltre 40 decreti attuativi. I fini della riforma erano da principio chiari: adoperarsi per l'autonomia responsabile, liberare dai vincoli gli atenei particolarmente virtuosi, favorire i processi di apertura internazionale e, non da ultimo, dare più risorse a chi meglio ne fa uso.
Peccato che l'uso dei tanti mezzi in applicazione della riforma (decreti, correzioni legislative, circolari ministeriali, disposizioni in materia di finanziamento) abbiano finito per offuscare i fini per i quali la riforma era stata proposta. Gli atenei sono oggi meno autonomi, meno differenziati, meno liberi in materia di reclutamento e meno finanziati. I fini sembrano scomparsi e riaffiorano quando le classifiche internazionali collocano l'Italia lontano dai posti di testa: questo diventerebbe il fine ultimo, la scalata delle classifiche.
La lezione del Papa è un'ottima occasione per riprendere il filo che porta al fine e non si occupa solo del mezzo. Servono le università in un Paese? È giusto che vi accedano tutti coloro che lo desiderano? È opportuno che si confrontino in termini quantitativi e qualitativi con quelle di altri Paesi? È opportuno che competano come squadre indipendenti o è opportuno che creino anche un tessuto connettivo comune pur nelle diversità? Sono interrogativi suscitati dalle riflessioni del vescovo di Roma che riportano al giusto indirizzo anche i mezzi che poi vengono utilizzati. Chi deve ascoltare queste parole? In primo luogo il legislatore che in questi anni mentre decantava l'autonomia, la riduceva sempre più, per virtuosi e non. Mentre sosteneva la necessità di dare più risorse ai meritevoli, tagliava i finanziamenti a tutti. Mentre sosteneva nei principi il diritto allo studio, lo decapitava nei fatti riducendone gli interventi. Ma il messaggio va anche agli accademici, professori e rettori.
Dobbiamo ritornare ai fini e aggiustare i mezzi. È anche questo il senso della recente lettera inviata al presidente del Consiglio e alla ministra dell'Università dalla Conferenza dei rettori. Il fine di motivare al miglioramento deve trovare nel premio e nell'autonomia il giusto incentivo. E il fine di non lasciare fuori dalla porta i giovani deve portare a interventi che almeno contengano la fuga verso altri Paesi o l'abbandono, tanto degli studenti quanto dei ricercatori.
Il presidente del Consiglio Letta nel suo recente discorso in Parlamento è stato su questi temi esplicito. Il Paese necessita riposte, ha detto, e fra queste «le risposte che passano per ulteriori investimenti seri nella scuola, nella ricerca, nella cultura e nell'università». A nome di tutta la comunità accademica ci aspettiamo che questo trovi concretezza già a partire dalla legge di Stabilità. Affinché il fine preceda i mezzi senza che i mezzi decidano il fine. Diversamente, saremo portati alla fine, questa sì, dell'università.
Presidente Crui
martedì 27 agosto 2013
Le polemiche servono per sviare il vero problema: bisogna "archiviare" la Legge 240/2010
A proposito dell'assurda proposta di chiudere alcune Università (Bari, Messina, Urbino) formulata dal giornalista Giavazzi del "Corriere della sera", che è un'ulteriore prova della strategia portata avanti negli ultimi anni dalla destra più becera, dalla lega, dalla confindustria e con il più o meno tacito assenso della CRUI (conferenza dei rettori): disintegrare la Scuola e l'Unversità pubblica.
Il vero problema è questa assurda, sciagurata e disastrosa legge 240/2010, tristemente nota come "legge GELMINI", e la politica economica dei poteri forti che vedono nel pubblico una voce di costo e non un doveroso investimento sulle generazioni future.
Non bisogna dimenticare che in 20 anni l’unica vera riforma strutturale fatta dai vari governi Berlusconi è stata proprio quella sull’Università, cosa ci dovevamo aspettare?
Per cui dispiace che i
media non si occupino di quello che sta accadendo nelle Università, o
se ne occupino solo per episodi futili e marginali capaci di fare
notizia.
Vero è che il nostro Paese avrebbe avuto bisogno di una riforma universitaria,
chi lavora nell'Università lo sa bene, ma, una vera Riforma, non questa
riforma!
Alcune delle ricadute negative delle nuove norme erano state previste in largo anticipo, prima dell'entrata in vigore della legge, ma la situazione odierna è ancora più amara, complessa e senbra prioprio senza vie di uscita.
Una situazione che condanna l'Università e la Ricerca italiana ad un oscuro periodo di ulteriore decadenza, e la Scuola non è messa meglio.
Paradossalmente la così detta "riforma" aggrava proprio i mali che da sempre affliggono l'università italiana:
- danni strutturali determinati dalla scomparsa delle Facoltà (tradizione secolare, a loro posto i macrodipartimenti ingestibili e incontrollabili);
- rafforzamento delle lobby di potere interno che fanno capo a poche figure (Rettore, direttori di dipartimento, consiglieri del Consiglio di amministrazione, Direttore generale);
- incremento di una burocrazia ottusa e dissennata;
- ordinamenti didattici e corsi di laurea a volte astrusi;
- il personale docente e il personale amministrativo fuori dai giochi allo sbando e senza controllo (dopo un anno dall'entrata in vigore dei nuovi Statuti d'Ateneo c’è ancora una grande confusione e disservizi a diversi livelli);
- mancanza cronica di finanziamenti, dove i pochi finanziamenti vanno sempre agli stessi gruppi (incredibile a dirsi);
- il blocco del turnover e la "fuga" dei docenti verso la pensione hanno creato vuoti incolmabili e condizionamenti all'offerta didattica che non trovano giustificazione logica anche se l'introduzione di procedure di Qualità con l'Accreditamento dei Corsi di studio, avrebbe potuto far ben sperare;
- la valutazione delle università mediante i parametri dell'ANVUR (Agenzia Nazionale di Valutazione del Sistema Universitario e della Ricerca), dopo anni di tagli indiscriminati e puntando ad analizzare dati parziali e non sempre certi, fotografa una situazione non sempre veritiera e che fa acqua da tutte le parti;
- le procedure in corso per abilitare i nuovi docenti universitari per i prossimi anni sono astruse e probabilmente comporteranno una valanga di ricorsi con relativo blocco delle abilitazioni, con perdite economiche difficilmente quantificabili, tutto resterà bloccato anche perché non è difficile immaginare che molte Università non avranno i finanziamenti necessarie per assumere i docenti abilitati;
- il taglio indiscriminato dei finanziamenti per il diritto allo studio, tanto che in alcune regioni i migliori studenti che non hanno possibilità economiche non potranno continuare gli studi;
- il dibattere sull'opportunità di togliere il "valore legale" del titolo di studio e di introdurre modelli di finanziamento "d'onere" mediati acriticamente dagli USA, dove si sono rilevati essere forrieri di gravi problemi finanziari e sociali.
Tutto quanto descritto, se non si interrompe la spirale perversa avviata da una Legge sbagliata (L.240/2010), inevitabilmente determinerà un'ulteriore e progressiva diminuzione della qualità della didattica e della ricerca, basta aspettare qualche anno.
I primi segnali sono sotto gli occhi di tutti: calo degli iscritti e calo dei laureati, ma un'altra cosa grave è la diminuzione della qualità dei laureati, in parte confermata dalla difficoltà ad entrare nel mondo del lavoro.
Questo è quello che sta accadendo nelle università italiane.
La situazione è gravissima perché è in gioco il futuro delle prossime generazioni e dell'Italia stessa.
La politica si dovrebbe fare carico di tutto ciò e con essa la pubblica opinione più responsabile.
La "riforma Gelmini" non è emendabile, bisognerebbe rottamarla e al più presto.
Sicuramente con il governo Letta questo è impossibile perché tra le tante emergenze, purtroppo, i problemi dell'università non sono una priorità.
Non dobbiamo rassegnarci ma essere consapevoli che ci terremo ancora, non si sa per quanto tempo, questa sciagurata "riforma" che ci trascinerà in una palude di inefficienza, disuguaglianza e arretratezza.
Non è con la disinformazione che ci si costruisce un futuro economico e sociale del nostro Paese.
PS:
Si ritiene opportuno aggiunge la segnalazione di ROARS a un articolo del New York Times che ben chiarisce di cosa stiamo parlando. Clicca qui
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